Alla vigilia del Giubileo serviva un’ordinanza così. E se ne sentiva, assai, il bisogno anche molto prima. Si tratta di una decisione fisiologica e naturale - in una città che deve alla sua storia la sua grandezza e non può vilipenderla e degradarla come troppo spesso le accade per demagogia e lassismo - che le pastoie burocratico-amministrative e gli impaludamenti pseudo-democratici e assembleari avevano finora impedito che vedesse la luce. Che ci sia voluto un prefetto, per porre fine a questo plurimo scempio dell’Urbe, la dice lunga su come l’indecisionismo al potere abbia colpevolmente consentito usi e abusi cancellabili, senza alcuna difficoltà, con un ordine secco e perentorio. A patto che segua, dopo il giusto intervento normativo, un controllo continuo sulla sua esecuzione e una presenza dissuasiva e repressiva delle forze dell’ordine in tutta l’area del centro storico interessata a questi fenomeni. La speranza è che questo sussulto di civiltà e di dignità, di cui il Campidoglio si fa interprete ed esecutore, si estenda sull’intera piaga degli abusivi e degli ambulanti. Perché è avvilente, nella Grande Bellezza, il brutto spettacolo dei gruppi di venditori di ciarpame che fuggono alla vista delle guardie, per poi tornare a spacciare subito dopo la propria merce taroccata appena la ronda sparisce all’orizzonte.
Chi viene a Roma ama le meraviglie storico-culturali e vuole portare a casa un ricordo positivo dell’esperienza in questa città. E non l’immagine di un luogo che si auto-riduce a parodia di se stesso (il centurione slavo con il pennacchio ricavato da un pezzo di scopa e la tuta da ginnastica sporca sotto la corazza di plasticaccia) e ridicolizza la propria storia in uno scenario da Ben Hur alla vaccinara e da Gladiatore de’noantri. Non si tratta così una città, la sua memoria e il suo presente che ha ancora molto da dire e da dare: siamo finalmente consapevoli di questa ovvietà?
Benvenuta ordinanza Tronca. Roma non ha bisogno nè di finzioni nè di illegalità. E liberare le sue aree di pregio dal ricatto del degrado è il colpo di reni che serviva. È un messaggio, ad Anno Santo già quasi cominciato, di riappropriazione della propria identità storico-culturale che è la chiave per ottenere rispetto e per dare all’Urbe quella forza di attrazione che custodisce da sempre e di cui non sempre si è dimostrata consapevole. «A centurio’, facce Tarzan!», gli dice il collega o il bancarellaro senza licenza. Quello lo fa e se il turista non gli dà dieci euro rischia di venire malmenato. «A centurio’, facce Totti!». Quello palleggia, inciampando sulla spada di latta, e se non prende la ricompensa «te ’mbruttisce», come si dice a Roma anche se il soggetto in questione parla slavo. «A centurio’, facce l’imperatore!». E quello si mette in posa davanti alla statua di Giulio Cesare lungo via dei Fori Imperiali, tra gozzoviglie e sghignazzi. Ora il baraccone viene smontato. E serve tutta la forza necessaria, e un vero amore per l’autenticità di Roma, per impedire che ricominci la vergognosa sceneggiata del posticcio.