Le risate stonate del malaffare

di Paolo Graldi
3 Minuti di Lettura
Venerdì 31 Ottobre 2014, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 00:14
Ah, il selfie stavolta fu davvero galeotto. Ha fornito la prova regina.



La consegna della mazzetta, “girata” per scherzo, è rimasta nella memoria e ora è la prova delle mazzette passate di mano. Gli imputati interrogano il diavolo che ha dimenticato i coperchi sulle pentole. Non fosse per questo dettaglio, che fa sorridere ma anche riflettere, si tratterrebbe di una storia di ordinaria corruzione.



Da una parte un alto dirigente del Demanio, dall’altra imprenditori in cerca di scorciatoie, al centro un succoso appalto per l’utilizzo del parcheggio a piazzale Clodio, davanti a palazzo di Giustizia. Un affarone assicurato. Così ieri mattina, come quasi ogni mattina coi primi telegiornali, la “retata” all’alba della Guardia di Finanza con nove arresti della combriccola non ha destato particolare stupore.



Con lo scandalo del Mose che a ondate come l’alta marea verso la laguna sforna sempre nuovi imputati e l’Expo di Milano che contribuisce senza soste ad allungare la lista degli scandali, la storia del parcheggio davanti ai Tribunali e alla Procura di Roma, sembrava poca cosa: un appalto per sei-nove anni lievitato a diciannove come per incanto, quattordici imprese concorrenti stracciate dalla “Flora Energy”, un brand rassicurante, odoroso, (pecunia non olet) che si è aggiudicata la gara con una proposta apparsa subito piuttosto attillata, fasciante come un abito su misura, confezionato nei dettagli per battere la copiosa concorrenza.



I quattro intraprendenti imprenditori devono aver pensato a un gioco facile, oliato da una mazzetta da 150 mila euro destinati al direttore del Demanio Lazio, considerato il terrore degli imprenditori onesti perché con lui le pratiche non passavano ed erano sempre irte di difficoltà, e a qualche suo stretto complice.



Tutto liscio come l’olio, perfino la richiesta e indispensabile fidejussione di una banca, una garanzia da un milione e mezzo di euro. I quali euro c’erano, ma solo sulla carta, grazie alla compiacente collaborazione di tre funzionari che ora, per ordine della Procura e a cura delle Fiamme Gialle, sono agli arresti domiciliari a piangere su quella maledetta debolezza.



La Guardia di Finanza ha diffuso quel minuto e mezzo di filmato rubato a sé stesso dall’imprenditore Daniele Pulcini, uno dei quattro coinvolti nell’affaire: su una scrivania, sparsi a ventaglio si vedono mazzette da cinquanta euro ed altre da cento. Pulcini parla con Marcello Visca, incaricato di incassare il malloppo: il dialogo è in un italiano parecchio romanizzato.



Il primo invita l’altro a contare il valsente, l’altro mentre conta le banconote si schernisce dicendo che come le ha avute le consegnerà: ma le banconote sono meno, 50 mila in meno di quelle pattuite e di qui nasce l’ilarità tra i due che immaginano la faccia sgomenta del destinatario di fronte a quella manfrina un po’ goliardica e un po’ strafottente. Ridono, anzi se la ridono ma il tablet registra tutto, lui non fa sconti.



«In 44 anni non ho mai avuto un avviso di garanzia», ha il coraggio di riferire con malcelato orgoglio Marcello Visca nel video girato con un tablet dall'imprenditore Daniele Pulcini durante la consegna del danaro per l'intermediazione svolta a vantaggio della "Flora Energy". E giù risate alla battuta. Ma quel video girato per scherzo gli costerà caro, visto che ora costituisce una delle più importanti fonti di prova.



Ricordano, quelle grasse risate, il giubilo di quell’altro imprenditore che se la rise di gusto la notte del terremoto dell’Aquila, immaginando i ricchi appalti della ricostruzione, peccato che fosse intercettato assieme al suo autorevole interlocutore. Tanto spesso inutili (ma ormai accettati anche da capi di governo e perfino dal Papa) stavolta il selfie sulle mazzette sporche è servito a qualcosa tanto che è stato possibile, per la Procura e per la prima volta, applicare quell’articolo della sacrosanta legge sulla corruzione dell’ex Guardasigilli Paola Severino, che contempla il reato previsto dall’articolo 346 bis, «traffico di influenza illecita», quello che utilizza e «sfrutta una relazione esistente tra un pubblico ufficiale – o incaricato di pubblico servizio - per dare o promettere indebitamente a sé o ad altri denaro, vantaggio patrimoniale come prezzo della propria illecita mediazione in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio».



Vedremo, magari in tempi stretti, come evolverà la prova del selfie. Per intanto il parcheggio di piazzale Clodio resta senza approdo. Ci lavoreranno ancora i vigili urbani e dilagheranno le multe per divieto di sosta. Per chi volesse ricorrere, il tribunale è proprio lì di fronte.