Valori e Partiti/ L’elettorato liquido e senza casa dei moderati

di Alessandro Campi
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Mercoledì 22 Ottobre 2014, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 00:02
La politica italiana vive ormai di paradossi. L’ultimo e più divertente riguarda la caccia all’elettore di destra che si è scatenata nelle ultime settimane (ne ha parlato ieri, su queste colonne, Mario Ajello).

Col Partito democratico oltre il 40% dei voti (secondo il dato delle ultime elezioni europee), con il centrosinistra che guida la politica nazionale e che, stando ai sondaggi, si appresta a vincere le amministrative della prossima primavera, tutti in realtà si preoccupano di catturare il consenso di quegli italiani che tradizionalmente non si sono mai riconosciuti nella sinistra. Persino Renzi, proponendosi come un leader pragmatico e post-ideologico, si è dedicato alla conquista di questa fetta di elettorato.



Si tratta di un vasto fronte, che comprende anche una quota di delusi e di (attualmente) non votanti, all’interno del quale si trova di tutto un po’: le partite Iva del nord, i difensori della famiglia tradizionale, i nemici della globalizzazione e dell’euro, i piccoli imprenditori impauriti dalla crisi economica, gli arrabbiati contro la casta, quelli che non sopportano la burocrazia e che vivono lo Stato come un predatore fiscale, quelli che ce l’hanno con l’immigrazione clandestina, i difensori del principio “legge e ordine”, i moderati nemici di ogni radicalismo ideologico, i nazionalisti difensori delle “piccole patrie” o dello Stato sovrano, quei pochi che in Italia si sono storicamente richiamati ai valori del liberalismo, ecc.



Molti di costoro li ha tenuti insieme per anni Berlusconi, facendone un solido blocco politico-elettorale, nei confronti del quale la sinistra si è dovuta accontentare (nella migliore delle ipotesi) di vittorie al fotofinish e comunque sempre precarie. Si tratta, come mostrano molte ricerche, di una maggioranza sociologica che nella storia d’Italia viene da lontano, ma che attualmente si trova in una condizione di minorità o debolezza politica, essendosi nel frattempo frammentato il partito che per lungo tempo ne ha incarnato le istanze e le pulsioni.



Il suo vero problema, più che di rappresentanza, è però come sempre di rappresentazione: nel dibattito pubblico e nel racconto dei media questa parte d’Italia continua ad essere dipinta a tinte ora fosche ora caricaturali. Come quando si confondono, in modo colpevolmente strumentale, le comprensibili ansie prodotte dall’immigrazione clandestina con la xenofobia e il razzismo. O come quando si denuncia la deriva populista e illiberale di chiunque si azzardi a criticare lo spirito tecnocratico dell’Europa, l’autoreferenzialità della classe politica, l’ottusità della burocrazia pubblica, gli eccessi di pressione fiscale di uno Stato peraltro inefficiente o l’irrazionalità manifesta di certe scelte di politica economica.



Ci si chiede se questo pezzo d’Italia, per quanto assai diversificato al suo interno, possa trovare prima o poi qualcuno in grado di dargli nuovamente voce in pubblico e un profilo politico unitario. O se sia invece condannato a restare diviso e ad affidarsi a portavoce occasionali che per catturarne il consenso si limitano a titillarne le frustrazioni e le componenti più emotive. È quel che ha fatto prima Grillo, lasciando credere che avrebbe sovvertito l’intero quadro istituzionale. È quello che adesso sta facendo Salvini, con la sua crociata contro l’immigrazione clandestina e la sua svolta in chiave ultra-nazionalista.



Si parla, per sfuggire le sirene del radicalismo, propagandisticamente efficace ma sempre politicamente sterile, della necessità di rifondare il centrodestra su basi nuove, proprio con l’obiettivo di riaggregare il suo elettorato storico e di tornare ad una dialettica politica fisiologica, basata su schieramenti che si propongono come credibilmente alternativi agli occhi dell’opinione pubblica. Ma sino a quando Berlusconi continuerà a presidiare quest’area politica, avendo per di più deciso di rinunciare al suo ruolo di oppositore naturale e attivo del centrosinistra, si tratta di una prospettiva scarsamente praticabile.



All’interno di un simile universo politico in crisi – privo di ricambio, improvvisamente divenuto povero di idee e dove le uniche novità sembrano rappresentate dagli urlatori di professione – ha pensato bene di inserirsi Renzi con l’idea di portarsi via un bel pezzo dell’elettorato moderato. La sua idea è che quest’ultimo, più che politicamente allo sbando e senza referenti, sia in realtà divenuto – come del resto la gran parte della società italiana – qualcosa di fluido e sfuggente. È un elettorato, anche quello che ci si ostina a definire per convenzione di centrodestra, che in maggioranza non crede ormai a niente, disincanto oltre ogni limite e dunque disponibile a correre, politicamente parlando, qualsiasi avventura: anche quella di votare per il Pd. Basta parlargli con un linguaggio semplice e diretto, assecondarne qualche richiesta o pulsione (tipo dire male dei sindacati, denunciare la burocrazia e i costi della politica) e offrirgli una leadership determinata e volitiva quale è sicuramente quella renziana (per molti versi simile a quella del Cavaliere dei tempi d’oro).



Ma un elettorato fluido e senza più appartenenze, di ciò Renzi dovrebbe tenere conto, è anche un elettorato facilmente reversibile: oggi ti vota sull’onda di un momentaneo entusiasmo o per un interesse contingente, domani con la stessa facilità ti abbandona. Al tempo stesso, in politica, che vive fisiologicamente di divisioni, non si può aspirare a rappresentare tutto e il suo contrario. Il “partito (unico) della nazione”, contemporaneamente di sinistra, di centro e di destra, che Renzi sembra avere in mente è solo il frutto del vuoto progettuale e di alternative che in questo momento contraddistingue la politica italiana.



Ma non è detto che questa situazione duri all’infinito. Infine, è tutto da dimostrare che gli italiani che già votarono in massa Berlusconi, per quanto delusi e confusi, si siano rassegnati alla diaspora, a starsene per sempre a casa, ad affidarsi al demagogo di turno o a votare anche chi non hanno prima mai votato. Forse stanno solo aspettando qualcuno, a loro politicamente più vicino, che torni a parlargli con un minimo di credibilità e coerenza. Qualcuno come Renzi, ma che non sia Renzi.