Perché il Papa vuole abolire l’ergastolo?

di Lucetta Scaraffia
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Venerdì 24 Ottobre 2014, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 13:13
Papa Francesco è intervenuto ancora una volta per affrontare il nodo problematico fra giustizia e misericordia, schierandosi a favore della misericordia anche nei confronti dei colpevoli. Il discorso appassionato e forte che ha rivolto ai rappresentanti dell’Associazione internazionale di diritto penale gli ha permesso di esporre con ampiezza i suoi pensieri su questi temi, nodi drammatici sui quali ha molto riflettuto.



Innanzi tutto il Papa ha segnalato le possibili distorsioni.Ciò nella fase cruciale del momento del giudizio, quando prevale la logica del capro espiatorio, cioè l’illusione di risolvere per via giudiziaria problemi che hanno bisogno invece di altri tipi di intervento. Il Papa chiama questo atteggiamento «populismo penale» e lo considera matrice di stereotipi negativi, tali da portare perfino alla condanna di innocenti. Le distorsioni della giustizia creano anche altre condizioni ingiuste di detenzione: la carcerazione preventiva – ricorda opportunamente – è una pena illecita a cui tanti esseri umani sono sottoposti, magari ingiustamente.



Ma anche chi ha commesso reati non deve in nessun caso – il papa non ammette eccezioni – essere sottoposto a tortura, anche quando la tortura consiste “solo” in condizioni gravi di isolamento, e i giudici devono esercitare molta cautela nell’applicazione della pena, considerando anche le condizioni carcerarie in gran parte del mondo. In molti paesi, infatti, si costringono «i detenuti a vivere in uno stato inumano e degradante». Se le condizioni detentive sono disumane, il condannato non ha neppure l’occasione di pentirsi, di cambiare vita, perché la sua mente è paralizzata dall’ira e dall’odio, e la mancanza di rispetto nei suoi confronti può diventare motivo di comportamenti autodistruttivi e aggressivi. Francesco ha invitato anche a giudicare con misericordia i più deboli, cioè i giovani, i vecchi, i malati.



Nel discorso del Papa c’è poi un punto particolarmente forte, e che non sarà da tutti condiviso: Francesco infatti chiede di abolire non solo la pena di morte (appello sacrosanto per un indiscusso atto di civiltà), ma anche l’ergastolo, che definisce «una pena di morte nascosta». È una richiesta che fa pensare: bisogna cancellare l’ergastolo anche per mafiosi sanguinari che non si sono pentiti ma che anzi, come talvolta risulta da intercettazioni ambientali, continuano a dare ordini per far compiere violenze e crimini? Ci farebbe piacere sapere che fra qualche anno uno di questi capi criminali possa tornare in libertà, a dirigere la malavita organizzata? Nella mia vita di docente universitaria mi è capitato di dovermi recare in carcere a fare esami a detenuti che dovevano scontare l’ergastolo, sottoposti a regimi duri.



Sono state esperienze terribili e inquietanti, e devo confessare che l’idea di vederli uscire dopo un certo numero di anni non mi sorride.Detto questo, il nostro sistema giudiziario già prevede che – nei casi ormai rari in cui vengono comminati ergastoli – per i detenuti pentiti e ravveduti, le condanne a vita siano tramutate in pene meno radicali, se non addirittura in percorsi di reinserimento nella società. Come ha detto giustamente papa Francesco, bisogna infatti pensare sempre a pene sostitutive del carcere che possano essere occasioni di riabilitazione del colpevole. In casi estremi – davanti a reati di associazioni criminali, terrorismo, delitti efferati o a violenze ripetute sui deboli, come nei casi della tratta di esseri umani – e in assenza di pentimento, l’ergastolo deve essere mantenuto. Però dovrebbe esistere unicamente per i delinquenti senza rimorso, per i quali, in un certo senso, la vita racchiusa nel male è già, comunque, una condanna perenne.



Ciò nella fase cruciale del momento del giudizio, quando prevale la logica del capro espiatorio, cioè l’illusione di risolvere per via giudiziaria problemi che hanno bisogno invece di altri tipi di intervento. Il Papa chiama questo atteggiamento «populismo penale» e lo considera matrice di stereotipi negativi, tali da portare perfino alla condanna di innocenti. Le distorsioni della giustizia creano anche altre condizioni ingiuste di detenzione: la carcerazione preventiva – ricorda opportunamente – è una pena illecita a cui tanti esseri umani sono sottoposti, magari ingiustamente.



Ma anche chi ha commesso reati non deve in nessun caso – il papa non ammette eccezioni – essere sottoposto a tortura, anche quando la tortura consiste “solo” in condizioni gravi di isolamento, e i giudici devono esercitare molta cautela nell’applicazione della pena, considerando anche le condizioni carcerarie in gran parte del mondo. In molti paesi, infatti, si costringono «i detenuti a vivere in uno stato inumano e degradante». Se le condizioni detentive sono disumane, il condannato non ha neppure l’occasione di pentirsi, di cambiare vita, perché la sua mente è paralizzata dall’ira e dall’odio, e la mancanza di rispetto nei suoi confronti può diventare motivo di comportamenti autodistruttivi e aggressivi. Francesco ha invitato anche a giudicare con misericordia i più deboli, cioè i giovani, i vecchi, i malati.



Nel discorso del Papa c’è poi un punto particolarmente forte, e che non sarà da tutti condiviso: Francesco infatti chiede di abolire non solo la pena di morte (appello sacrosanto per un indiscusso atto di civiltà), ma anche l’ergastolo, che definisce «una pena di morte nascosta». È una richiesta che fa pensare: bisogna cancellare l’ergastolo anche per mafiosi sanguinari che non si sono pentiti ma che anzi, come talvolta risulta da intercettazioni ambientali, continuano a dare ordini per far compiere violenze e crimini? Ci farebbe piacere sapere che fra qualche anno uno di questi capi criminali possa tornare in libertà, a dirigere la malavita organizzata? Nella mia vita di docente universitaria mi è capitato di dovermi recare in carcere a fare esami a detenuti che dovevano scontare l’ergastolo, sottoposti a regimi duri. Sono state esperienze terribili e inquietanti, e devo confessare che l’idea di vederli uscire dopo un certo numero di anni non mi sorride.



Detto questo, il nostro sistema giudiziario già prevede che – nei casi ormai rari in cui vengono comminati ergastoli – per i detenuti pentiti e ravveduti, le condanne a vita siano tramutate in pene meno radicali, se non addirittura in percorsi di reinserimento nella società. Come ha detto giustamente papa Francesco, bisogna infatti pensare sempre a pene sostitutive del carcere che possano essere occasioni di riabilitazione del colpevole. In casi estremi – davanti a reati di associazioni criminali, terrorismo, delitti efferati o a violenze ripetute sui deboli, come nei casi della tratta di esseri umani – e in assenza di pentimento, l’ergastolo deve essere mantenuto. Però dovrebbe esistere unicamente per i delinquenti senza rimorso, per i quali, in un certo senso, la vita racchiusa nel male è già, comunque, una condanna perenne.