Olimpiadi 2024/ Torna l’orgoglio di una sfida Capitale

di Mario Ajello
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Giovedì 20 Novembre 2014, 23:52 - Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 00:05
Operazione orgoglio Roma e orgoglio Paese. Pareva impossibile dare una svolta contro il minimalismo paralizzante.



E anche contro la sottocultura della rinuncia alle grandi sfide, che sono state il segno negativo degli ultimi anni e anche dei penultimi, e invece: ecco la candidatura della Capitale, e dell’Italia, alle Olimpiadi del 2024. Matteo Renzi sostiene che «stavolta si può e che l’Italia può tornare a vivere un grande sogno». Il cambiamento di verso è evidente. Siamo all’opposto rispetto alla brusca bocciatura che due anni fa Mario Monti inflisse all’Italia e alla sua Capitale, quando in nome di un rigorismo auto-castrante e nel timore di sprechi finanziari in tempi di crisi economica fece cadere la candidatura olimpica di Roma. Operando una scelta di resa preventiva che ancora brucia.



Anche all’attuale premier. «A me - ricorda adesso Renzi - colpì molto Monti quando disse che le Olimpiadi erano un progetto troppo grande per l’Italia. Già allora definii sbagliata quella decisione di stare fuori dalla gara. Per me, non esiste un progetto troppo grande per l’Italia». Qui non si tratta di una sfida tra l’ottimismo dell’uno, Renzi, e la cultura dell’iper-cautela dell’altro, il premier-professore. Ma dell’immagine, cioè della sostanza, che si vuole dare a un Paese che ha tutte le carte in regola per competere anche sui grandi eventi con le altre nazioni più abituate di noi - pur non avendo più titoli di noi - alle operazioni orgoglio.



Si tratta stavolta di un calcio al passato prossimo, di un capovolgimento che Renzi vuole tentare in tandem con il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e ciò non significa rincorrere una qualche grandeur ma sicuramente vuol dire uno stop al minimalismo di sempre. E un tentativo di recupero del proprio rango. A cominciare dalla Capitale, che è la stessa in cui proprio ieri - e lo schiaffo ai logori clichè nordisti su questa città è plateale - si è deciso di tenere aperti dal primo dicembre gli uffici pubblici fino alle sette di sera (cosa che a Milano è fuori dalla portata anche della fantasia).



A riprova che la vocazione di Roma è quella di una metropoli produttiva, e la voglia e la forza di dimostrarlo - anche in previsione delle Olimpiadi del 2024, se riusciremo ad aggiudicarcele - ci sono tutte. L’importante è superare la scarsa fiducia nelle proprie capacità e ritrovare quello spirito di apertura al futuro che ben si incarna nell’organizzazione, tipica delle grandi nazioni fin dall’antica Grecia, dei Giochi Olimpici. Che potrebbero fare del bene all’Italia e a Roma.



«Se riusciamo a rimettere in moto il fisco e la pubblica amministrazione, le Olimpiadi le facciamo sotto gamba», assicura Renzi. Al netto del tono baldanzoso tipico del premier, la sfida è pienamente alla portata di questa città. Stupisce, perciò, che la nuova Lega formato nazionale vagheggiata da Matteo Salvini, sulle ceneri della retorica lumbard, del folk separatista o devoluzionario, si metta di traverso alla candidatura olimpica della Capitale. Incoerenza? Macchè: come si dice a Roma, a Salvini gli è «partita la vena».



Gli è partito l’embolo padanista - «Renzi è un uomo pericoloso, e abbiamo ancora le cattedrali nel deserto delle Olimpiadi invernali di Torino e i debiti per i Mondiali di nuoto a Roma» - che in questi ultimi mesi ha provato malamente a mascherare, perfino indossando la felpa giallorossa o atteggiandosi a difensore dei cittadini di Tor Sapienza, per pura convenienza elettorale. Ma il bluff ora s’è svelato. Ed è riapparso il tic contro Roma Ladrona. «Ancora tu», canterebbe a Salvini il grande Lucio Battisti, a proposito di questa risibile ma perdurante sindrome da zolla di Pontida: «Ma non dovevamo vederci più?».