I nodi del Paese/ Riformare la giustizia per tornare efficienti

di Cesare Mirabelli
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Lunedì 22 Dicembre 2014, 23:21 - Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 00:11
L’intervento che ha tenuto ieri il presidente Napolitano al Consiglio superiore della magistratura non ha il carattere cerimoniale che spesso caratterizza, nelle diverse istituzioni, i discorsi di fine anno.

Non espone né commenta un bilancio del Consiglio che formalmente presiede, né offre una indicazione programmatica per i suoi lavori. Costituisce piuttosto l’espressione della più elevata presenza del capo dello Stato anche in seno a quell’organo, quale garante dell’equilibrio tra le istituzioni, e pone a sintesi le esigenze e le attese del Paese nel settore della giustizia.



Da tempo assistiamo a periodiche «contrapposizioni polemiche» tra politica e magistratura, sottolineate nell’apertura del suo discorso, che «non hanno giovato né alla qualità della politica, né all'immagine della magistratura». É bene superarle rapidamente. Non perché è opportuno manifestare garbo nel dibattito istituzionale, come pure non guasterebbe, ma per fedeltà al principio di leale cooperazione che la Costituzione richiede.



Rispettare i diversi ruoli che assegna la separazione dei poteri, significa non solamente evitare con i propri atti formali invasioni di campo, che si traducono in conflitti tra poteri dello Stato sottoposti al giudizio della Corte costituzionale. Significa anche astenersi da interventi polemici, talvolta legati ad interessi di categoria, propri piuttosto della competizione politica, che non del rapporto istituzionale della magistratura con gli altri poteri o nei confronti della magistratura da parte degli altri poteri.



La cooperazione tra le istituzioni è ancor più necessaria per il buon andamento della giurisdizione. É oramai una opinione diffusa che la giurisdizione è in affanno, tanto da non soddisfare la domanda di giustizia dei cittadini e delle imprese, e da costituire un freno allo sviluppo del Paese. Nel settore civile per la durata dei processi e per la imprevedibilità delle decisioni, sia a causa della cattiva qualità e della caotica stratificazione delle leggi, sia per la mutevole e talvolta soggettiva interpretazione dei giudici. Nel settore penale ancora una volta per la eccessiva durata dei processi, spesso vanificati dalla prescrizione, ma ancor più per i “comportamenti impropriamente protagonistici” e le “iniziative di dubbia sostenibilità assunte da alcuni magistrati della pubblica accusa”, segnalati da Napolitano, che sono in assoluto contrasto con il corretto ed equilibrato esercizio della giurisdizione.



Egualmente è da molto tempo avvertita la necessità di un “profondo e organico processo innovatore”, che Napolitano ha sottolineato. Sino ad ora è stata meno considerata la esigenza, incisivamente segnalata nel discorso, di “un recupero di funzionalità, efficienza e trasparenza del sistema”, e della “diffusione di una cultura organizzativa”.



É sufficiente entrare nei palazzi di giustizia, nelle cancellerie, nelle aule giudiziarie, per verificare carenze di organizzazione rispetto alla qualità del servizio che deve essere reso, e vistose inefficienze. Le lodevoli eccezioni confermano il diffuso difetto di organizzazione.



Questo è uno dei nodi essenziali: organizzare la giurisdizione, nell'insieme degli apparati, organizzare lo svolgimento dei singoli processi. Si tratta di un impegno più difficile e meno appariscente delle frequenti e diffuse prese di posizione verbali, destinate piuttosto alla critica che non all'autocritica. Impone di sviluppare una analisi della quantità, della composizione, della distribuzione territoriale della domanda di giustizia civile e penale.



Richiede di ricostruire nuovi modelli di organizzazione degli apparati e di ridisegnare la filiere dei processi produttivi e degli adempimenti in coerenza con le trasformazioni consentite dall'informatica. Impone di invertire il tradizionale sistema di reclutamento degli addetti, commisurandone numero e professionalità alle nuove esigenze. Senza cedere a generiche richieste di reclutamento o di incrementi di organici. Il disegno organizzativo condiziona il fabbisogno di addetti, e non il contrario.



Usando un termine frequente nel descrivere piani industriali di recupero delle aziende in crisi, questo è un impegno “sfidante”. Tocca il Ministro della giustizia, al quale la costituzione affida “l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”. Tocca il Consiglio superiore della magistratura, che amministra e governa la componente decisiva del personale giudiziario. Tocca i magistrati che dirigono gli uffici giudiziari, e quelli che gestiscono i singoli processi,come pure tocca comportamenti e stile dell'avvocatura.

Nell'interesse generale ci si può attendere che in questo ambito si esprima il contributo di riflessione e di proposte che i singoli attori in campo possono e debbono dare. Abbandonando le vie oramai usurate e prevedibili delle polemiche.