Art. 18, la Cgil a Renzi: «Basta insulti, discutiamo. Tutti in "B" non è estendere i diritti»

Art. 18, la Cgil a Renzi: «Basta insulti, discutiamo. Tutti in "B" non è estendere i diritti»
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Sabato 20 Settembre 2014, 10:03 - Ultimo aggiornamento: 18:37

La Cgil lancia la contro offensiva dei tweet. Per replicare al video postato su Youtube dal presidente del Consiglio Matteo Renzi - incui accusa il sindacato di aver difeso le ideologie e non i precari in carne e ossa - l'organizzazione di Susanna camusso risponde con alcuni cinguettivi sul social network.

«Non vogliamo che chi lavora possa essere licenziato senza una ragione», scrive la Cgil il nuovo hashtag #fattinonideologia. E ancora: «Mandare tutti in serie B non è estendere i diritti e le tutele». Infine: «Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone».

Anche la presidente della Camera Laura Boldrini interviene nella polemica, parteggiando prudentemente per la Cgil. Boldrini afferma infatti di non voler dare pagelle, ma auspica anche una «effettiva tutela» dei lavoratori.

Il fronte lavoro insomma diventa incandescente, con lo scontro frontale tra la Cgil - che evoca «il modello Thatcher» come vera fonte di ispirazione di Matteo Renzi - e il premier che contrattacca a muso duro con un video girato alla finestra di palazzo Chigi: i tanti co.co.pro. e co.co.co sono «condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito».

«Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone», dice la Cgil, che aggiunge. «Mandare tutti in serie "B" non è estendere i diritti e le tutele». E ancora: «Malattia e maternità: estendiamo a tutti i diritti e le tutele». «Stesso lavoro, stessa retribuzione. No al demansionamento». E poi «sì» alla tutele crescenti ma a patto che «si cancellino «i tanti contratti che producono precarietà». Infine «La regola più semplice: garantire la dignità di chi lavora». Il sindacato di Corso d'Italia chiude la raffica di tweet con un interrogativo: «Da sempre ci battiamo per estendere diritti e tutele. Renzi vuole fare lo stesso?».

Non si schiera con il governo invece il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che oggi non ha voluto commentare la polemica tra il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e il presidente del Consiglio sulla riforma del lavoro. «Non parliamo di articolo 18, non posso commentare oggi» ha detto.

Vendola a Renzi: così realizzi il sogno della destra. «Caro Matteo Renzi, ti accingi a realizzare il grande sogno della destra politica ed economica, abbattere tutte le regole che danno dignità e diritti a chi è nel mondo del lavoro» ha detto Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia e leader di Sel, in una video-lettera al premier.

Madia. «Io credo non ci saranno fratture, quando discuteremo in Direzione del disegno di legge che dà diritti a chi non ne ha. Mi sembrerebbe strano opporsi». Così il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia. «Io penso che dobbiamo parlare di quello che è scritto nel disegno di legge Poletti dove c'è la riforma degli ammortizzatori sociali, dove il governo metterà risorse. Non l'ha fatto negli ultimi vent'anni nessuno governo neanche quando non c'era la crisi», ha aggiunto Madia. «C'è il salario minimo - ha aggiunto il ministro - La maternità per chi oggi non ce l'ha, c'è il contratto a tutele crescenti per chi oggi passa da una partita Iva ad un Co.co.co. Togliamo quindi lo spezzatino dei contratti e mettiamo il contratto a tutele crescenti. Quindi noi stiamo dando diritti a chi non ne ha».

Delrio: non ridurremo diritti, ma supereremo vecchi tabù. «Abbiamo avanzato una proposta organica del lavoro, la legge delega ha trovato il consenso in commissione ed auspicabilmente lo troverà anche al Senato. Le polemiche potrebbero lasciare il posto a riflessioni più di merito, invece che a battaglie ideologiche». Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, sottolineando: «Non ridurremo alcun diritto», ma saranno superati «vecchi tabù».

«La Cisl non ha mai fatto dispute ideologiche. Chiediamo al ministro del Lavoro: perché si vuole inquinare il dibattito sulla riforma del lavoro con la vicenda dell'articolo 18 che è stato riformato, dopo un non facile confronto con le parti sociali, dal Governo Monti appena due anni fa?».

Così il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni in una lettera aperta pubblicata dal quotidiano Avvenire. Per Bonanni «i casi di reintegro in Italia sono davvero pochissimi, a dimostrazione che il tema dell'art.18 è solo un totem ideologico da agitare in ogni stagione politica. È il simbolo di una Italia rancorosa, che vuole far leva sull'invidia sociale, mettendo sempre i padri contri i figli, i lavoratori tutelati contro i giovani». Poi Bonanni chiarisce la proposta della Cisl. «Abbiamo detto che il contratto a tutele crescenti può essere una strada giusta per eliminare tutte quelle forme spurie di flessibilità selvaggia come il ricorso alle false partite Iva, agli associati in partecipazione, i collaboratori a progetto, sia del settore privato che del pubblico impiego. Il Governo è disposto a cancellare queste vergognose forme di sfruttamento dei giovani? Discutiamo di questo tema, puntando a stabilizzare almeno un milione di giovani precari che si trovano senza alcuna garanzia salariale e previdenziale».

Le fibrillazioni nel Pd. Non si placano intanto le fibrillazioni all'interno del Pd, a partire dall'ex segretario dei dem Pier Luigi Bersani che annuncia «molti emendamenti» al Jobs act e mette in guardia: se l'obiettivo è «frantumare i diritti» allora «sarà battaglia». Ancora più chiaro è il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, sempre dei democratici, secondo cui «l'attuale tutela dell'articolo 18 deve restare anche per i nuovi assunti».

Le accuse del premier. Le accuse all'esecutivo arrivano una dopo l'altra e ieri il premier è intervenuto, via Youtube, lanciando precise accuse: «A quei sindacati che vogliono contestarci» io «chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l'ha e chi no» perché «si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della «gente». E precisa: «non vogliamo il mercato del lavoro di Margareth Thatcher». Lo scopo, al contrario, aggiunge, è creare un sistema del lavoro «giusto».

Il numero della Fiom, Maurizio Landini, rompe ogni indugio e attacca: sull'art. 18 «Renzi deve dimostrare quanto è figo all'Europa». «Il contratto a tutele progressive è una presa per il culo se le tutele vengono cancellate», aggiunge.

Jobs act. La scintilla da cui è partita la serie di reazioni a catena è il Jobs act, o meglio la la delega lavoro, attesa in settimana nell'Aula del Senato. Incassato il primo sì della commissione Lavoro di palazzo Madama l'iter parlamentare continua e il percorso non sembra in discesa. Tempi e sostanza sono d'altra parte due questioni che vanno di pari passo.

Le date della protesta. Sul punto il responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, chiarisce come il governo non miri a un decreto bensì all'approvazione della legge delega da parte del Senato entro l'8 ottobre. Un altro giorno da appuntare, soprattutto per i sindacati confederali che dovrebbero decidere una mobilitazione tutti insieme, con manifestazione ed eventualmente anche un pacchetto di ore di sciopero. Per ora fanno fede le giornate già indicate dalle singole sigle, la Cgil si è espressa per la prima decade di ottobre (forse l'11) e la Cisl per il 18, che si potrebbe dire curiosamente, coinciderebbe con l'iniziativa della Fiom.

Il premier. Renzi, che la prossima settimana sarà negli Stati uniti, ha convocato la direzione del partito per il 29 settembre. In quella sede sarà discussa e decisa la linea. Vale il modello sperimentato sulle riforme: il partito delibera, a maggioranza, poi ci si adegua tutti. Gli attacchi interni sul lavoro non giungono inattesi, osserva un parlamentare renziano: su quei temi il Pd è ancora attraversato da due sensibilità, una delle quali più vicina a quella dei sindacati, che Renzi attacca senza mezzi termini. Il bivio è «decidere se essere una grande sinistra moderna, riformista di stampo liberal e innovatrice o una sinistra conservatrice ormai legata al modello diventato insostenibile del welfare del secolo scorso», afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella, fedelissimo di Renzi.

L'obiettivo del governo e della maggioranza renziana del Pd è arrivare al via libera del Senato al Jobs act entro il vertice europeo dell'8 ottobre. E se la direzione del 29 settembre dirà la parola definitiva, il confronto si articolerà la prossima settimana in Parlamento. Martedì mattina torneranno a riunirsi in assemblea i senatori dem. Lunedì pomeriggio i bersaniani si vedranno a Palazzo Madama per scrivere gli emendamenti da presentare all'attenzione del gruppo, martedì sera Area riformista elaborerà un documento politico su lavoro e legge di stabilità. «Ai nostri emendamenti - spiega Alfredo D'Attorre - sarà difficile dire no, perché seguono la linea Pd dettata da Renzi stesso a partire dalle primarie. A meno che i renziani non avvertano un'attrazione fatale verso l'Ncd di Sacconi».

A preoccupare la sinistra dem, a partire da Cesare Damiano, Guglielmo Epifani e Bersani, sono le maglie troppo larghe della delega scritta dal governo. Il vicesegretario Lorenzo Guerini si fa mediatore «ottimista» e dice che in direzione un «punto di incontro si può trovare»: «Nessuno ha messo in discussione il reintegro per motivi discriminatori - rassicura - c'è piuttosto un tema di

allargamento della sfera di indennizzo».

La guerra sull'articolo 18. Ma la sinistra dem vuole un contratto a tutele crescenti che a un certo punto assicuri la garanzia dell'articolo 18 e il reintegro: in tal senso «saranno presentati emendamenti», annuncia Bersani, che in mattinata vede alla Camera Epifani, D'Attorre e altri deputati. Altrimenti, afferma, «si frantumano i diritti e allora sarà battaglia».

M5S. «I sindacati, quelli che hanno difeso e protetto le ingiustizie in questi anni, sono quelli che afferiscono al loro Governo. Sono sindacati che afferiscono ai partiti. Di cosa stiamo parlando?». Così il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, esponente del Movimento 5 Stelle. «Si fa un teatrino televisivo - aggiunge - però poi si mettono i sindacalisti a presidenti delle commissioni Lavoro e attività produttive della Camera che sono del Pd e sono Epifani e Damiani. Mi aspetto, in questa fase politica dopo le europee in cui stanno venendo meno tutte le promesse di questo Governo, che i cittadini approfondiscano e non si leghino a queste dichiarazioni, che fanno parte del teatrino della politica». Secondo Di Maio, «nei fatti Governo e sindacati sono vicini e il Governo continua a farsi proteggere da alcuni sindacati nelle porcherie che fa».