Il grande elettore: la scommessa del premier e i suoi confini

di Stefano Cappellini
4 Minuti di Lettura
Venerdì 30 Gennaio 2015, 22:27 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 00:11
Se Sergio Mattarella diventerà oggi presidente della Repubblica, per la prima volta un capo dello Stato sarà eletto, di fatto, su diretta designazione del presidente del Consiglio. Con Mattarella, Renzi ha scelto una personalità in possesso di tutti i requisiti per ricoprire il ruolo: ce n’erano altri all’altezza della candidatura, pochi però - forse nessun altro - con un profilo politico marcato e al tempo stesso aperto a raccogliere consenso in partiti anche molto distanti gli uni dagli altri. Ecco perché Renzi ha puntato tutto su di lui, ecco perché ha potuto permettersi di lanciarlo pubblicamente senza avere in tasca un accordo con le forze di centrodestra, intestandosi così il ruolo di unico vero grande elettore, lui che nemmeno è tra i 1009 chiamati al voto.

A prescindere dalla quota di consensi che Mattarella sarà in grado di raggiungere, il marchio all’operazione era già stato impresso dalla scelta di Renzi di puntare in partenza sull’autosufficienza di un blocco di consensi alternativo sia alla maggioranza di governo (che comprende l’Ncd ma non Sel) sia a quella delle riforme (estesa a Forza Italia).



Con questa mossa Renzi ha dimostrato di saper utilizzare ancora una volta a proprio vantaggio le debolezze altrui, quelle di chi - come Silvio Berlusconi - in questo caso ha subito lo smacco, ma anche quelle di chi - come la minoranza Pd e la sinistra di Vendola - rivendica una quota di successo dell’operazione Mattarella. Rivendicazione legittima, forse un po’ effimera.



Non è inutile chiedersi cosa sarebbe accaduto se Renzi avesse trovato l’accordo su Mattarella con Berlusconi e l’avesse poi proposto al suo partito. Probabilmente, il medesimo candidato che oggi molti salutano come l’espressione diretta dell’unità della sinistra, lo stesso dipinto come il cattolico sociale impermeabile al berlusconismo, sarebbe diventato in un baleno l’indigeribile candidato del patto del Nazareno. La tattica ha contato molto più che la strategia, in questa partita del Quirinale, e cambiando ordine agli addendi, scegliendo cioè di privilegiare l’interlocuzione interna all’asse con Berlusconi, Renzi ha cambiato anche la somma.



Non è una novità. Il premier, capo di tre virtuali maggioranze diverse, aggiusta di volta in volta l’elenco di amici e nemici e decide lui chi finisce nel primo elenco, chi nel secondo. Si discute di Jobs Act? Ecco che dall’ala destra arriva il sostegno per ammorbidire la fronda democrat. Legge elettorale? Il soccorso berlusconiano garantisce la precettazione della sinistra renitente.



Sul Quirinale, invece, è toccato proprio al Cavaliere trovarsi surrogato e proprio da quella minoranza Pd che fino a poche ore prima evocava scissioni e accusava Renzi di nefandezze varie, dal coordinamento dei 101 cecchini di Romano Prodi, e su su fino al tradimento completo degli ideali. Chiamando a raccolta i suoi, Renzi si è pure cautelato: un eventuale, ormai più che improbabile, fallimento di Mattarella lo troverebbe comunque ben saldo a capo del suo schieramento e pronto ad affrontare la partita elettorale.



Anche a costo di presentarsi alle urne con una immagine più ortodossa e meno trasversale di quella coltivata. Cosa guadagnino gli avversari di Renzi nel prestarsi di volta in volta alle geometrie variabili che al premier spianano la via, è presto detto: nessuno, tranne Renzi, ha un progetto politico degno di questo nome, nessuno, tranne Renzi, può guardare agli scenari futuri senza trarne motivi di ansia e preoccupazione.



Nella maggioranza di governo ci sono forze terrorizzate da un ritorno prematuro alle urne, la sinistra Pd esulta per Syriza ma di uno Tsipras italiano non vede l’ombra, gli ex grillini non possono sperare altro che di essere cooptati, mentre il centrodestra è un coacervo di forze eterogenee, sparpagliate su direttrici incompatibili e con un leader in disarmo che da una parte detiene ancora il grosso dei consensi di area e dall’altra non è nemmeno tecnicamente candidabile.



L’Italia può avere oggi un nuovo presidente, all’altezza delle sfide che lo attendono. Non è insomma solo un successo personale, quello di Renzi. È invece presto per dire come riprenderà da lunedì il corso degli eventi e della legislatura, a cominciare dal destino delle riforme fin qui votate insieme a Forza Italia.



L’elenco di amici e nemici del premier è destinato a scomporsi e ricomporsi ancora.
In prospettiva, su Renzi grava una sola vera minaccia: la possibilità che il vantaggio di oggi - l’assenza assoluta di alternative, che non è mai segno di salute per un sistema politico - si trasformi nell’handicap di domani.