Corruzione, i punti deboli e le incognite di una legge

di Cesare Mirabelli
4 Minuti di Lettura
Giovedì 21 Maggio 2015, 23:53 - Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 00:03
Il disegno di legge in materia di delitti contro la pubblica amministrazione arriva al suo approdo finale, con l’approvazione della Camera dei deputati. Contrastare e reprimere la corruzione è un obiettivo da perseguire con decisione e tenacia. Lo chiedono i cittadini onesti.

Operare per eliminare fenomeni di corruzione, che rischiano di divenire endemici e socialmente tollerati anche nei piccoli episodi corruttivi, non è solamente la convinzione di chi abbia a cuore la legalità e la giustizia. Il nostro Paese è tra quelli nei quali, secondo le classifiche di organizzazioni internazionali, è più elevata la “corruzione percepita”. Anche se questa non è la corruzione effettiva, difficilmente misurabile, questo dato mostra quanto sia diffusa la convinzione che occorrano o vengano seguiti percorsi impropri, non legali, per qualsiasi atto della pubblica amministrazione: per ottenere tempestivamente il provvedimento favorevole cui si ha diritto, ma anche per ottenere quanto non sarebbe legalmente consentito. Con evidente danno per gli investimenti e per l’economia, che richiedono affidabilità e sicurezza, parità di condizioni nella concorrenza, trasparenza negli appalti.



La legge approvata è orientata a questo fine: combattere e reprimere penalmente la corruzione. Presenta molti aspetti positivi, ma anche evidenti limiti. Può alimentare l’illusione che l’inasprimento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione valga finalmente a fronteggiare la corruzione.



Mentre per l’efficacia deterrente della pena, vale assai più una condanna contenuta ma molto probabile e rapidamente applicata, che non la minaccia di una pena più severa ma di assai incerta applicazione ed in un futuro remoto. D’altra parte stabilire una pena più elevata, per consentire un aumento dei tempi di prescrizione, ha piuttosto il sapore di una resa alla difficoltà di conoscere e perseguire in tempi ragionevoli i reati, e di ottenere la condanna definitiva di chi li ha commessi.



C’è da chiedersi se la ragionevole durata dei processi, come impongono la costituzione e la convenzione europea dei diritti dell’uomo, non implichi e presupponga anche la ragionevole tempestività dell’iniziativa penale. La prescrizione, e la ragionevole durata del termine previsto per promuovere l’azione penale e pervenire ad una condanna, costituisce una garanzia per il cittadino di non essere nella pressoché permanente condizione di “processabile”, per fatti remoti e per i quali può essere difficile sia la ricostruzione processuale, sia una efficace difesa.

Nel disegno di legge in discussione è da apprezzare l’accentuazione delle pene accessorie: il divieto per chi sia condannato di concludere contratti con la pubblica amministrazione, la cessazione del rapporto di lavoro e di impiego, la sospensione dall’esercizio della professione. Ma, ancora una volta, si tratta di misure molto efficaci quando sono adottate in tempi ragionevolmente brevi rispetto ai fatti; lo sono assai meno se la distanza dalla commissione del reato rende inutile la sanzione.



Da condividere senza riserve le misure orientate a colpire negli interessi e nel patrimonio chi sia condannato: la riparazione pecuniaria nei confronti della pubblica amministrazione, la subordinazione del patteggiamento, e dei vantaggi che ne derivano per l’imputato, alla restituzione del prezzo o del profitto del reato, che è condizione anche per ottenere la sospensione condizionale della pena.

Non mancano altri aspetti critici. Introdurre per le false comunicazioni sociali una nuova disciplina con rilevanti sanzioni penali, e affidare alla giurisprudenza la ricostruzione del contenuto di alcune formule elastiche contenute nel testo della legge, non aiuta ad offrire le certezze che sono essenziali nell’ambito economico.



Nel suo complesso l’intervento legislativo sembra mantenere l’asse del contrasto alla corruzione sul versante della repressione successiva, mediante sanzioni penali, affidando alla giurisdizione il compito di assicurare il declino del fenomeno corruttivo. C’è da chiedersi se non sia da percorrere, con pari ed anzi maggiore determinazione, la più complessa ma efficace via della prevenzione. Questo capitolo è ancora da scrivere e può contenere molte misure. Se ne può ricordare qualcuna: rendere più chiari e definiti poteri e responsabilità in ogni procedimento amministrativo; ridurre i passaggi e la pluralità di competenze che offre occasione di ostruzione; rafforzare i corpi tecnici dell’amministrazione; rendere trasparenti le procedure di appalto e forniture; prevenire deroghe legate ad eventi “eccezionali”, solitamente prevedibili, per i quali accade che si attenda perché si crei la situazione di urgenza che legittima procedimenti speciali; non illudersi di poter controllare tutto, ma attivare controlli a campione, non basati su adempimenti formali, ed orientati in particolare alla verifica negli ambiti che presentano maggior rischio di corruzione.

In definitiva si chiede che trovi attuazione il principio di buon andamento dell’amministrazione, come la costituzione impone. Sarebbe questo un buon antidoto per una malattia che, come la corruzione, rischia di divenire endemica.