Catastrofi naturali, l’errore di fondo della comunicazione

di Gianluca Comin
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Martedì 21 Ottobre 2014, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 00:24
Fra qualche giorno, quando si sarà depositata la polvere delle polemiche sui lavori bloccati a Genova e sulla incapacità di anticipare i disastri metereologici che hanno colpito mezza Italia, si potrà affrontare un tema che pare marginale: qual è il metodo migliore per avvisare la popolazione dell’arrivo di una catastrofe naturale?



Sono stati scritti fiumi di inchiostro e riempiti gli scaffali delle librerie sull’uso dei social network e dei diversi sistemi di messenger nelle varie “primavere arabe” e nell’attivazione di proteste come Occupy Wall Street, ma a guardare con attenzione siamo ancora all’anno zero sull’utilizzo dei mezzi di comunicazione più diffusi tra la gente per comunicare stati di allerta e informare su ciò che si deve fare nel caso di emergenze.



Mentre, infatti, guardiamo con invidia e curiosità al lavoro che ad esempio la Fema americana, cioè la struttura federale chiamata ad intervenire nelle emergenze, ha avviato da tempo integrando i social network al sistema tradizionale di gestione dell’emergenza, si deve tristemente constatare che la nostra Protezione Civile è ancora indietro. Basta fare un giro sul sito per capirlo: pagine e pagine 1.0 di decreti, avvisi, comunicazione istituzionale, bandi e curiosità, ma niente che assomigli ad un programma 2.0 di utilizzo dei social per il supporto all’informazione e al dialogo digitale con i cittadini.



La Protezione Civile italiana non ha un account twitter e nemmeno una pagina Facebook. Non c’è una indicazione sull’utilizzo di messenger né un numero da utilizzare con whatsapp. Tanto per restare alle tecnologie di base. E anche quando si trovano degli account da parte di strutture di Protezione Civile comunali non supera qualche decina o al massimo centinaia di follower. La Protezione Civile di Genova aveva poco più di 700 follower nei giorni del disastro, saliti a oltre mille nei giorni successivi. L’account è stato aperto solo sei mesi fa. La Protezione Civile della Toscana, Regione colpita dalla bomba d’acqua dei giorni scorsi, ha 700 follower e non ha mai twittato. Ovviamente il prefetto Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, non ha un suo profilo twitter. Ma nemmeno Carabinieri e Polizia di Stato hanno profili twitter da usare per comunicare o ricevere comunicazioni istantanee.



Eppure nel mezzo di una emergenza le persone hanno con sé solo lo smartphone e certo non sono in grado di accendere la televisione e la radio, che per la struttura di comunicazione della nostra Protezione civile rimangono di fatto gli unici canali. Basterebbe, invece, molto poco e con costi veramente irrisori per potenziare un canale di comunicazione efficace e diffuso non solo per allertare la gente nel caso di emergenza e guidarla nel compiere azioni che possano metterla al sicuro, ma anche per guidare le strutture dei volontari e i tanti singoli cittadini che in questi casi si mettono subito all’opera per salvare vite umane o arginare il peggio. Non mancano i professionisti che potrebbero guidare la Protezione Civile nel predisporre un piano di accesso ai social network e non c’è azienda – Facebook, Twitter o Google, tanto per citarne qualcuna – che non si impegnerebbe ad una educazione digitale del personale statale e dei volontari.



La Protezione Civile deve, dunque, affiancare i numeri verdi telefonici con profili differenziati per target (cittadini, strutture istituzionali, volontari) ed avviare una seria e diffusa campagna di informazione affinché questi profili diventino uno dei canali previlegiati di dialogo con la gente. Deve estendere il piano di accesso ai social alle protezioni civili territoriali e mantenere uno standard rigoroso di comunicazione con regole di ingaggio valide per tutti.

Ne verrà valorizzato senza dubbio anche il lavoro importante e generoso di tanti operatori della protezione civile, delle organizzazioni di emergenza e dei volontari.