Strategie e obiettivi/ Il dopo Assad è il fulcro della lotta alla jihad

di Romano Prodi
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Domenica 29 Novembre 2015, 00:00
Quando il fuoco turco ha abbattuto il bombardiere russo, ho avuto paura che si aprisse una vera e propria guerra fra le due potenze che si contendono il primato in una stessa area. La guerra non è scoppiata ma la pace in Siria si è allontanata. E non di poco. Prima di tutto le tensioni fra Russia e Turchia non diminuiscono ma aumentano. Erdogan, per qualche attimo, è sembrato volere ridimensionare il significato dell’azione compiuta e si è dichiarato disposto ad incontrare Putin. Il leader russo rifiuta ovviamente ogni incontro che non sia preceduto dalle scuse ufficiali di Erdogan il quale, naturalmente, non ha nessuna intenzione di porgerle e ribadisce che l’abbattimento del jet Sukhoi 24 è stato un atto dovuto, in presenza di presunte ripetute violazioni dello spazio aereo turco. Quindi si è passati dalle parole ai fatti, con reciproche manifestazioni di ostilità e atti di ritorsione economica: dai simulacri turchi bruciati in piazza a Mosca, all’invito ai turisti russi di non recarsi in Turchia, al sabotaggio dei prodotti nei supermercati fino al ripristino dei visti nei viaggi fra due Paesi che, negli ultimi tempi, avevano temporaneamente messo da parte le eterne ragioni di conflitto, dato il comune interesse nel cooperare in campo economico. Per ora non abbiamo ancora segni di rottura nel settore energetico perché le due economie hanno tra di loro una troppo forte dipendenza reciproca.

La Russia ha bisogno di vendere il proprio gas alla Turchia che, a sua volta, ha bisogno delle forniture russe per scaldare le case e fare funzionare le fabbriche. Non mi stupirei tuttavia se, in caso di permanenza delle attuali tensioni, anche la cooperazione nel campo energetico finisse con l'essere messa in crisi. Gli interessi di lungo periodo dei due paesi divergono infatti oggi come in passato: dai Balcani fino agli infiniti spazi dell'Asia Centrale la concorrenza (e in molti casi il conflitto) fra Turchia e Russia è costante e palpabile. Questo conflitto è ancora più evidente nello scacchiere medio-orientale, dove la Russia è vicina all'Iran e al mondo sciita, mentre la Turchia ha l'obiettivo di diventare una potenza regionale sempre più forte, esercitando una volontà di leadership in tutto il mondo sunnita.
Per raggiungere questo obiettivo Erdogan - almeno secondo le accuse di Mosca - non è andato troppo per il sottile, lasciando passare attraverso i propri confini jihadisti di ogni tipo, acquistando il petrolio prodotto dallo stato islamico e permettendo il rifornimento di armi ai combattenti dell’Isis. Lo scoppio di un aperto conflitto fra Russia e Turchia rende naturalmente più difficile la lotta contro l'Isis, perché irrigidisce ancora di più i rapporti fra gli Stati Uniti e la Russia, mentre la loro collaborazione è assolutamente necessaria per vincere il terrorismo.

Solo un'azione comune di queste due grandi potenze può infatti preparare il terreno ad un'uscita graduale di Assad dalla scena siriana e, quindi, ad una collaborazione nella lotta contro l’Isis con una comune strategia sul dopo Assad. Con lo scoppio del conflitto russo-turco questa prospettiva positiva si è allontanata, accrescendo le già forti remore americane ad accordarsi con Mosca, dato che la Turchia non solo è membro della Nato ma possiede addirittura l'esercito più numeroso di tutta l’Alleanza Atlantica. Obama viene quindi spinto ad essere molto prudente nei confronti dell’avvicinamento fra la Francia e la Russia, un avvicinamento che, senza questi avvenimenti, avrebbe potuto invece facilitare la formazione di un fronte comune contro l'Isis e offrire un concreto contributo alla vittoria sul terrorismo e, quindi, al cammino verso la pax siriana.

Lo scontro russo-turco ha infine reso più difficile la strategia francese di radunare intorno alla sua Iniziativa militare tutti i paesi europei. A parte il tradizionale appoggio britannico (che deve essere tuttavia ratificato dal Parlamento) sia la Germania che l'Italia hanno infatti mostrato una comprensibile prudenza per un'azione di guerra della quale non sono ancora definiti i contenuti e gli esiti politici. In una strategia spontaneamente parallela Germania e Italia si sono quindi orientate verso il minimo appoggio necessario per manifestare la propria solidarietà all'amica Francia. D’altra parte finché non vi sarà una comune politica europea della difesa questi comportamenti di "solidarietà limitata" non potranno che ripetersi in futuro.

Non si fa una guerra se non se ne decidono insieme obiettivi, strumenti e strategie, soprattutto quando le tragedie dell'Iraq e della Libia sono troppo recenti per non pesare sulle nostre decisioni politiche. Chi si oppone alla politica di difesa comune deve rendersi conto di queste sgradevoli ma naturali conseguenze.