Quella strada obbligata per archiviare il rigore Ue

di Giulio Sapelli
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Martedì 27 Gennaio 2015, 23:16 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 00:19
La vittoria di Syriza in Grecia deve essere l’occasione per una profonda riflessione sul nuovo ciclo politico-economico che si apre in Europa dopo i circa 15 anni di fallimento della tecnostruttura non elettiva europea. Anni che hanno avuto il loro punto di caduta nella crisi da deflazione in atto. L’Europa, infatti, è stato ed è un governo misto di oligarchia e di plutocrazia. La prova di ciò risiede nell’assoluta mancanza di poteri del Parlamento europeo eletto con gran clangore di buccine, ma costretto a passare le sue leggi attraverso il filtro tecnocratico della Commissione del Consiglio Europeo. È stata questa configurazione strutturale dell’Ue che ha creato all’interno della sua asimmetria costituzionale un’altra asimmetria. Mi riferisco alle differenze derivate dal regime demografico, dalla particolare posizione geopolitica, dalla irrimediabile cultura di potenza che è emersa tra i maggiori Paesi europei.

Asimmetria che ci si è illusi di superare solo con l’unificazione monetaria e non politica. Ma quando si sottraggono ai popoli le scelte, il peso della storia secolare è ancora più forte. Dopo il crollo dell’impero sovietico, infatti, ottanta milioni di tedeschi si sono trovati, dopo essersi risollevati grazie agli aiuti americani ed europei negli anni Cinquanta e riunificati grazie alla ingenuità diplomatica franco-italiana negli anni Ottanta, a imporre il loro spirito di potenza prima contro la Francia, poi contro l’Europa del Sud.



L’aggregazione delle nazioni ex-comuniste dei paesi nordici al blocco teutonico era inevitabile. Il tutto alimentato da un lato dall’ideologia liberista e dalla deregulation della finanza e, dall’altro, dal rinnovato vigore dell’ordoliberalismus tedesco. Questa miscela culturale è stata il cemento di un ciclo politico-economico che ci ha portato a sbattere contro il muro. Gran parte del debito dei paesi del Sud Europa deriva dalla follia da iperinvestimenti che hanno alimentato l’eccesso di speculazioni finanziarie a debito e che perciò hanno posto le basi per possibili default.





La Grecia è stato il punto più grave di questa tragedia. Governato da oligarchie plutocratiche estero-vestite (è nella Costituzione greca il privilegio degli armatori di non dover pagare tasse) e da cleptocrazie partitiche nazionali di lungo corso (le famiglie Karamanlis e Papandreou ne sono i punti più visibili), il paese ellenico, culla della democrazia ma anche delle più spietate dittature, ha amplificato la macchina del clientelismo facendo proliferare una profonda disuguaglianza mascherata da sprechi pubblici dilaganti.



Poi sono arrivati gli anni del cosiddetto default greco, dove si sono raggrumati tutti i vizi di questo sistema. La scoperta del disastro dei conti pubblici ha provocato uno sconquasso. Il Pasok scompare, ma i parassiti dell’oligarchia cleptocratica invece continuano a sperare che la loro natura saprofitica possa continuare a riprodursi ed ecco che Nuova Democrazia di Antonis Samaras, ma in effetti dei vecchi Karamanlis, ottiene un bel risultato in mezzo alla catastrofe: il 28% vuole ancora continuare a vivere di clientelismo, di privilegi, di parassitismo. Naturalmente le scorie tossiche delle vecchie ideologie della destra filofascista e della sinistra comunista staliniana e post- staliniana non possono che rinvigorirsi nella crisi (Alba Dorata) oppure riaffermare caparbiamente se stesse (il Partito Comunista greco un tempo chiamato “dell’esterno”, perché aveva rotto con quello dell’interno eurocomunista e filoitaliano).



La vittoria di Tsipras di questi giorni è l’inizio di un nuovo ciclo politico-economico perché non è la vittoria di un gruppo estremista. Syriza si è dimostrato un partito politico frutto di una lunga e non improvvisata elaborazione teorica, non una escrescenza mediatica. Il vincitore delle elezioni greche eredita l’intransigenza anti-clientelare, orgogliosa e nutrita da anni di riflessione autocritica, del Partito comunista “dell’interno”, che ha trovato nuova linfa e vigore nei movimenti studenteschi di massa del 1995 contro il pericolo di un nuovo autoritarismo.



Naturalmente quest’intreccio ha costituito e costituisce un forte catalizzatore per le classi medie impoverite e devastate dalle politiche neo-schiaviste, crudeli ed economicamente suicide della cosiddetta Troika, composta dalle menti meno brillanti di Bce, Fmi e Commissione Europea.



L’Europa deve impostare un nuovo approccio al problema greco basandosi su tre virtù. La prima è quella della pietà (una virtù che si trasforma in uno strumento di economia politica), ponendo le basi di una nuova solidarietà e condivisione di sovranità, dando vita a un grande conferenza internazionale sul debito, che veda protagonisti non solo l’Europa, ma anche gli Stati Uniti e la Russia. Come Syriza, a sua volta l’Europa deve fare un passo innanzi e negoziare e rinegoziare fino a giungere alla revisione, sia pure con calma e prudenza, dei Trattati che oggi, con la crisi dilagante, non sono più oggettivamente ammissibili.



La seconda virtù è quella della temperanza che Tsipras ha già iniziato a rendere manifesta alleandosi con un partito di centro- destra populista e schierato contro l’austerità tecnocratica europea. È una mossa molto intelligente, perché lascia spazio a un’opposizione di sinistra che può incanalare il radicalismo generato dall’ideologia e dalla sofferenza e nello stesso tempo non lasciare l’opposizione sociale alla destra neonazista. Una mossa tattica di grande maturità, frutto di una profonda riflessione sulla storia greca, che quei vecchi capi eurocomunisti svilupparono in studi scientifici e che hanno ora consegnato alla nuova classe dirigente di Syriza.



Questo ha un significato preciso: si è pronti a rinegoziare anche in merito allo stesso programma elettorale con cui si è vinto, come è tipico di ogni grande partito realista e non di un’assemblea di fanatici che perseguono la reiterazione delle loro sconfitte e non il bene comune (come molti degli italiani che, ahimè, abbiamo visto accorrere da turisti in Grecia per applaudire i vincitori).



La terza virtù è quella della speranza, a cui il leader vincitore si è continuamente appellato. Questa virtù è quella di Charles Peguy, e mi è particolarmente cara. Come la speranza, dobbiamo tornare bambini e camminare verso quel nuovo ciclo europeo che vedrà dapprima i vincitori greci negoziare realisticamente la fuoriuscita dall’austerità, e in secondo luogo generare una profonda trasformazione delle istituzioni europee.



Queste devono farsi fautrici in prima istanza di questa trasformazione con grande realismo e consapevolezza dei pericoli che un rifiuto della trattativa comporterebbe.

Una trasformazione che non potrà essere che quella di un’Europa confederale, ossia un’unione di stati, di nazioni europee che continuino ad avere una moneta unica ma che riacquistino, però, sovranità di bilancio e di spesa, come accade nella piccola Svizzera e nel grande impero nord-americano. Riflettiamo su questi esempi, perché ancora una volta la Grecia parla al mondo.