L’Europa impari dalla lezione scozzese

di Giulio Sapelli
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Sabato 20 Settembre 2014, 01:05 - Ultimo aggiornamento: 01:21
Il Regno Unito ha dato al mondo una grande lezione di democrazia.



Il referendum sull’indipendenza della Scozia si è trasformato in una inusitata lezione di fair play e di reciproco rispetto tra le parti. Eppure il tema aveva una portata devastante, e facilmente avrebbe potuto degenerare visti i temi palesi e meno palesi in gioco.



Non si era dinanzi nè alla trasformazione del Commonwealth né alla fine dell’Impero britannico, ma alla stessa messa in discussione di un patto ben più che costituzionale, di un patto spiritualmente fondativo di uno Stato a monarchia costituzionale nella cui millenaria e tormentata architettura politico-religiosa hanno trovato una comunità di destino più nazioni. Tra queste il sangue versato dalla cattolica Maria Stuarda sotto la mannaia anti papista era il simbolo più eclatante e strabiliante per il modo in cui la democrazia rappresentativa e le common rule della convivenza civile avevano poi superato ferite lancinanti.



In fondo, questo voto è il trionfo della casa regnante, di una regina che si fa amare dai suoi sudditi perché ne interpreta nei momenti più difficili tanto la storia quanto il presente in forma conciliativa e non divisiva. Basta pensare al periglioso ruolo della casa regnante spagnola per comprendere meglio questa affermazione. Ma la vittoria dell’unità del Regno britannico è stata anche la vittoria del pragmatismo anglosassone.



È stata la vittoria del pragmatismo anglosassone sui principi dell’identità non negoziabile, quell’identità non negoziabile che in alcuni casi può arrivare a trasformare l’esigenza di maggiore autonomia in scissione separatista.



Fatto, questo, che senza dubbio avrebbe ancor più aggravato i problemi già evidenziati di una Unione Europea attualmente dilaniata dalla crisi e da una eccessiva pluralità di componenti che, nonostante qualche lodevole tentativo, si è incapaci di portare a vera unità.



L’Europa è malata e probabilmente continuerà a esserlo per lungo tempo se non si deciderà di intervenire con lungimiranza ed equità. Non illudiamoci. La nascita di una Scozia indipendente, da questo punto di vista, avrebbe certo aggravato la malattia. Ma nonostante per gli europeisti convinti questa sia senza dubbio una buona giornata, non bisogna cantare troppo vittoria. Soprattutto perché si è trattato di un risultato ottenuto di stretta misura, un risultato che dà il segno inequivocabile di un malessere non sopito. L'allarme deve perciò risuonare alto e forte soprattutto nelle casematte eurocratiche. Inizia infatti un’onda lunga che in Catalogna, giusto l’esempio, potrebbe non fermarsi tanto facilmente.



L'Europa deve dunque cambiare modello di riferimento dinanzi alla grandiosità della sfida. Il modesto esito della prima operazione di credito mirato e a lungo termine (Tltro) organizzata dalla Bce è la testimonianza dei limiti della Banca centrale europea: di ciò bisogna prendere atto, chiedendo con forza alla politica di fare la propria parte con serietà e rapidità, senza la quale difficilmente avranno successo le pur generose azioni annunciate da Mario Draghi.



Ma ciò che più allarma nell’esito della prima asta organizzata da Francoforte è che la modesta richiesta di credito a basso costo destinato alle imprese - che ovviamente non è conseguenza di un capriccio o di un errore delle banche, ma semplicemente l’effetto di una previsione ponderata sulla domanda potenziale - inevitabilmente accentua i dubbi sullo stato dell’economia reale ben al di là dei preoccupanti indicatori Ocse o Fmi.



Ebbene, è fin troppo facile immaginare quanto questa situazione, se non interverranno rapidi e netti cambi di direzione da parte dei governi, possa alla lunga incidere sulle inquietudini che attraversano l’Europa, non sempre accompagnate dai tratti di eleganza che hanno esaltato il confronto scozzese.



In Italia, per esempio, capita che spinte identitarie scaturite da menti nobili finiscano in farsa. E tra quelle che più recentemente hanno provato a farsi strada non c’è nulla di simile all’orgogliosa storia nazionale e religiosa scozzese, come invece la Lega di Matteo Salvini vorrebbe farci credere. Rimane, tuttavia, la necessità di cogliere da una risicata vittoria del pragmatismo e delle regole democratiche tutti gli insegnamenti più preziosi.



Essi iniziano dalla trasformazione delle regole economiche e sociali dell’Europa, che devono imporsi per volontà comune e non nell’interesse esclusivo di un singolo membro, peraltro in danno degli altri. Se tale trasformazione non avrà inizio con rapidità, la decantata vittoria si tramuterà fatalmente in una vittoria di Pirro.