Il padre di Aylan, il bimbo siriano morto: «Mi è scivolato via, sognavamo il Canada»

Il padre di Aylan, il bimbo siriano morto: «Mi è scivolato via, sognavamo il Canada»
di Maria Lombardi
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Venerdì 4 Settembre 2015, 08:50 - Ultimo aggiornamento: 13:07

Doveva andare lontano, Aylan, con le sue scarpette chiuse, dall'altra parte del mondo. A Vancouver, magari, il sogno era questo, da zia Teema e lì sarebbe cresciuto senza sentire spari, avrebbe frequentato le scuole dove la guerra si conosce sui libri e imparato un'altra lingua, con la fretta dei bambini. Insieme al fratellino Galip, di cinque anni, a mamma Rehan e papà Abdullah.


​«Vengo dalla Siria», avrebbe raccontato da grande ai compagni, un paese da immaginare per lui che l'aveva lasciato a tre anni appena.

Ma questa storia non si può raccontare: il viaggio di Aylan si è fermato troppo presto e la sua vita non è andata oltre Bodrum. Adesso il bambino della foto che ha costretto il mondo intero a chiedersi perché, lui a pancia in giù sulla spiaggia e il mare che gli sfiora la testa, tornerà a Kobane, nord della Siria, da dove era partito. Con la mamma e il fratellino. Il padre vuole riportarli lì e seppellirsi insieme. E vorrebbe finire anche lui, Abdullah al-Kurdi, 40 anni, sotto terra, in quella stessa terra che li ha costretti a fuggire. La sua speranza adesso è questa, tenere unita la famiglia che non c'è più.

IL VIAGGIO

Ed era più grande della paura, la speranza di Abdullah quando si è messo in viaggio, un anno fa circa, da Kobane la città curda allora assediata dai jihadisti dello Stato islamico dove faceva il parrucchiere. Impossibile raggiungere il Canada, la zia che vive lì dice che la richiesta d'asilo era stata respinta. Così ha tentato una via più lunga e incerta. La famiglia del piccolo Aylan aveva provato «diverse volte» ad arrivare in Europa con i barconi dei trafficanti, ma tutti i precedenti tentativi erano «falliti», racconta, per l'intervento della guardia costiera turca. «Stavolta ero riuscito, con l'aiuto di mia sorella e mio padre, a mettere insieme 4mila euro per fare questo viaggio». È andata così. Dalla costa turca di Bodrum 23 naufraghi su due piccole imbarcazioni sono partiti per Kos, sulla costa greca. Le onde li hanno travolti, dodici sono morti e tre spariti in mare.

IL NAUFRAGIO

«Quando la barca si è rovesciata Aylan è scivolato via. Ho preso mia moglie e i miei bambini tra le braccia ma mi sono accorto che erano morti», racconta piano Abdullah Kurdi, uscendo dall'obitorio di Yerkesik, nella provincia turca di Mugla. «Siamo scesi da una barca e un'ora dopo siamo saliti su un'altra dove c'era un uomo turco. Noi eravamo in 12 e la barca era stracarica. Eravamo in mare da pochissimi minuti ma le onde erano alte, l'uomo che guidava la barca ha sterzato e noi siamo andati a sbattere. Lui è andato nel panico e si è gettato in mare, scappando. Ma le onde erano altissime e la barca si è capovolta». Ha cercato di stringere i suoi figli e la moglie, non c'era più niente da fare. «I miei bambini erano i più bei bambini del mondo. Mi svegliavano la mattina perché giocassi con loro. Adesso tutto quello che voglio è stare seduto accanto alla tomba di mia moglie e dei miei figli».

Sulla spiaggia di Bodrum, il piccolo Aylan, supino come dormono i bambini, le onde lo accarezzano. A cento metri il fratellino Galip. La fotoreporte turca Nilufer Demir dell'agenzia Dogan li vede alle sei di mercoledì mattina, «ero pietrificata». Scatta, nella speranza che quello scatto «qualcosa possa cambiare».

Di certo ha già cambiato il nostro modo di guardare. C'era anche Aylan al di là del mare, provava a scavalcarlo insieme ai tanti che fuggono dalla guerra, è finito sulla sabbia. Tutti i profughi, d'ora in poi, ce lo ricorderanno. E ci si chiede adesso, quando non serve più, perché il Canada ha rifiutato la domanda di asilo della famiglia Kurdi, come sostiene la zia di Aylan. Già in passato lei aveva cercato di aiutarli a lasciare il Medio Oriente. «Ho avuto la notizia alle cinque di mattina», a Teema Kurdi è arrivata la telefonata di una cognata. «Ho chiamato Abdullah e tutto quello che ha detto è stato: mia moglie e i bambini sono morti».

IL RIFIUTO

Un parlamentare canadese, Fin Donnelly, ha raccontato di aver chiesto per conto della zia del bambino il riconoscimento dello stato di profughi alla famiglia. Ma i servizi di immigrazione del paese negano di aver mai ricevuto una richiesta di asilo politico da parte del padre di Aylan. Una domanda presentata dal fratello di Abdullah, Mohammed Kurdi, era stata respinta perché incompleta. Tra le ragioni del «no», sostiene Teema Kurdi, che vive da 20 anni in Canada, ci sarebbe stata l'assenza di un visto di uscita per agevolare il passaggio dalla Turchia. «Stavo cercando di garantire per loro, con amici e vicini avevamo messo insieme i fondi necessari, ma non siamo riusciti a farli uscire, ecco perché sono saliti su quella barca». Quattro scafisti sono stati arrestati in Turchia per la morte di Aylan che doveva andare lontano e tornerà a Kobane.