Il Tesoro e le privatizzazioni: «C’è il rischio occupazione»

Il Tesoro e le privatizzazioni: «C’è il rischio occupazione»
di Luca Cifoni
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Venerdì 28 Novembre 2014, 00:38 - Ultimo aggiornamento: 10:25
Il nuovo processo di privatizzazioni sta andando meno bene di quanto il governo si attendesse.



Tra gli altri nodi da sciogliere c’è quello dei possibili effetti sull’occupazione, data la volontà di valorizzare al massimo gli asset a disposizione. È un’analisi realistica quella del ministro Padoan, intervenuto sul tema nell’aula del Senato. Padoan ha preso atto del fatto che quest’anno i risultati finanziari saranno modesti (limitati sostanzialmente alle operazioni Fincantieri e Ray Way ed alla cessione del 30 per cento di Cdp Reti: in tutto introiti per circa 4,5 miliardi) ma ha voluto confermare, dal 2015 in poi, l’obiettivo di ricavi pari allo 0,7 per cento del Pil l’anno (più o meno 11 miliardi).



LE OPERAZIONI

In lista di attesa ci sono Enav, Poste, Enel e Ferrovie dello Stato. Per quel che riguarda il colosso elettrico, il ministro dell’Economia ha specificato che ulteriori quote potranno essere poste in vendita in una fase «più favorevole per il mercato». Quanto alle Ferrovie, la dismissione partirà dalla controllata Grandi Stazioni.



Tra le cause del rallentamento, rispetto alle previsioni dei governi (non solo quello attuale ma anche quelli che lo hanno preceduto) Padoan ha citato il contesto esterno, ossia le condizioni di mercato, ma anche la necessità di «migliorare il processo di valorizzazione interna di quelle imprese per scegliere il momento ideale». Ed in questa logica si pongono i possibili rischi sul fronte occupazionale: è chiaro gli investitori riservano una migliore accoglienza a società che hanno già subito una cura dimagrante. Quella ad esempio che sta cercando di avviare Poste italiane. L’indicazione fornita ieri a Palazzo Madama è comunque che si procederà su questo aspetto «caso per caso».



Oltre alle partecipazioni dirette o indirette del Tesoro, in cantiere ci sono anche dismissioni del patrimonio immobiliare, che da sole dovrebbero garantire da qui al 2016 introiti pari a 500 milioni l’anno. Padoan ha spiegato che tra gli strumenti rientrano fondi immobiliari dedicati «che potrebbero essere successivamente collocati sul mercato».



Il piano di dismissioni rappresenta per l’esecutivo una parte importante della strategia di riduzione del debito pubblico (resa più complicata dalla mancata crescita economica ed anche dal quasi azzeramento del tasso di inflazione, che contribuisce a determinare il rapporto tra debito e Pil nominale). Ma al di là delle cifre in ballo ha anche un valore simbolico di fronte alle istituzioni europee ed ai mercati internazionali, che osservano forse con qualche preoccupazione le recenti battute d’arresto.



LE ALTRE VENDITE

C’è un capitolo particolare che nonostante le grandi aspettative finora non ha prodotto effettive novità: è quello delle dismissioni delle società degli enti locali. Nel piano di revisione della spesa messo a punto a suo tempo da Carlo Cottarelli veniva indicata la strada della razionalizzazione dell’attuale assetto, attraverso cessioni e fusioni. Dalle oltre 8.000 entità attuali si dovrebbe passare a non più di 1.000 entro il 2017-2018. Ma le norme inserite nella legge di Stabilità non appaiono particolarmente incisive: in pratica viene affidato a Regioni e Comuni il compito di predisporre appositi piani nell’arco di un anno. Non sono però previsti vincoli stringenti e dall’operazione nell’immediato non sono nemmeno attesi risultati in termini di risparmio.
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