Roma, 13enne si impicca: spunta l’ombra dell’orco

Roma, 13enne si impicca: spunta l’ombra dell’orco
di Adelaide Pierucci-Riccardo Tagliapietra
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Sabato 20 Settembre 2014, 01:30 - Ultimo aggiornamento: 17:04

Un segreto inconfessabile custodito nei file di un tablet di cui la sua famiglia non conosceva nemmeno l’esistenza.

Trovato per caso dalla madre giovedì pomeriggio assieme a una valigetta per i trucchi, mentre sistemava la camera da letto di Katia. Una scintilla per la 13enne di Trastevere, arrivata quattro anni fa da Capo Verde grazie a un’adozione internazionale, che ha acceso la miccia della disperazione, convincendo la ragazzina ad affidare gli ultimi istanti del suo destino a una corda appesa a una delle travi del soffitto della cameretta, come se non vi fosse soluzione alcuna a ciò che la tormentava.

Inquietudini che in un lampo si sono trasformate in ossessione.

L’alone di mistero ha convinto il capo della procura capitolina, Giuseppe Pignatone, ad affidare il caso, arrivato inizialmente sul tavolo del pm di turno, a Maria Monteleone coordinatrice e procuratore aggiunto del pool specializzato in reati sessuali. Una scelta studiata.

Anche la scientifica ha lavorato per ore l’altra sera nella cameretta di Katia, prima di uscire con computer e telefonino, a caccia di qualcuno, forse di chi ha lasciato un messaggio. Il nome della ragazzina, ovviamente è di fantasia, ma non i file e i tabulati finiti sotto la lente degli investigatori, dove probabilmente è occultata parte della verità, perché non può essere un tablet vuoto a far morire una tredicenne con tutta una vita davanti. E nemmeno quel biglietto lasciato ai genitori prima di andarsene, in cui la ragazza racconta del mondo malato che la circondava, riesce a spiegare tutto.

I TESTIMONI

La madre adottiva di Katia preferisce tacere, affidando a un’altra figlia poche parole. L’epilogo della lite avuta con la ragazzina il pomeriggio, confessato solo ai poliziotti che hanno in carico le indagini, l’ha distrutta. Perché la decisione di morire, Katia, l’avrebbe presa all’improvviso, mentre i genitori erano fuori, senza dar loro la possibilità di comprendere, né di aiutarla a trovare una soluzione.

Se la ricordano bene i vicini quella giovane, molto carina e gentile. La vedevano passeggiare fino a qualche giorno fa con i due cani di casa, che le riempivano le giornate vuote. Poi era cominciata la scuola e Katia si vedeva meno in giro. La giovane capoverdiana, racconta chi la conosceva, camminava sempre tranquilla con le cuffiette accese, la testa bassa e lo sguardo perso nei pensieri di un’adolescente. Sempre pronta a sorridere per rispondere a un saluto. Mai nessuno avrebbe immaginato un epilogo così tragico. Ma qualcosa è accaduto. Qualcosa che ha convinto la ragazzina a scegliere di morire, piuttosto che affrontare la verità.

PASSATO E PRESENTE

Ne sono sicuri gli investigatori. Katia era arrivata da Capo Verde a Roma qualche anno fa, grazie a un’adozione internazionale. La mamma adottiva l’aveva scelta tra tante, colpita dal suo sguardo tenero, da quei grandi occhioni scuri e gentili. E da una storia difficile, quella di una bambina nata in un Paese dove si diventa grandi in fretta e che per molti non è il paradiso che le agenzie turistiche pubblicizzano sui depliant, ma un posto dove cocaina e turismo sessuale possono incrociare la vita di chicchessia lasciando cicatrici indelebili.

La nuova mamma di Katia l’aveva capito quando aveva scelto di firmare le carte per la sua salvezza. La tredicenne capoverdiana, così, aveva cominciato a Roma una nuova vita. Nessun segreto. Fino all’altro giorno, quando una banale lite con mamma, di quelle che scandiscono la crescita di ogni adolescente, ha interrotto quella di Katia. «Chi ti ha dato questi?», le ha chiesto davanti a trucchi e tablet?

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