Olimpiadi low cost, Roma cala le sue carte

Olimpiadi low cost, Roma cala le sue carte
di Marco Ventura
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Sabato 22 Novembre 2014, 22:27 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 13:55
Renzi, Marino, Malagò. Premier, sindaco di Roma e presidente del Coni. La squadra dell’ottimismo ai blocchi di partenza per candidare Roma alle Olimpiadi del 2024. Due anni fa, l’allora premier Mario Monti disse di no, a dispetto delle conclusioni messe nero su bianco da un comitato di esperti presieduto dall’economista Marco Fortis in una relazione di “compatibilità economica” finalizzata alla possibile candidatura dell’Italia alle Olimpiadi 2020, poi assegnate a Tokyo. In una lettera al “Corriere della Sera”, Monti difende la scelta di allora ma ricorda che in quella occasione disse pure che «forse si sarebbe potuta considerare l’ipotesi di una candidatura non per il 2020 ma per il 2024, anche per valorizzare eventuali sinergie con l’Anno Santo previsto per il 2025».



GLI STUDI

In realtà, gli studi via via commissionati per valutare l’impatto ex post delle Olimpiadi sulle economie dei paesi che le hanno ospitate dimostrano che nel rapporto costi-benefici, a prevalere sono i benefici (con l’eccezione di Atene 2004, che avrebbe contribuito a far precipitare la crisi greca per i ritardi nelle realizzazioni con relativi sovra-costi). Ma per esempio, le preoccupazioni di David Cameron per il dopo-Olimpiadi di Londra sembrano svanite con la pubblicazione di un dossier del governo britannico dal titolo “Post games evaluation”, dal quale risulta che i giochi hanno dato un «impulso sostanziale all’economia del Regno Unito».



C’è scritto che l’impatto delle Olimpiadi 2012 in Gran Bretagna produrrà in tutto «da 28 a 41 miliardi di sterline di valore aggiunto lordo (da oltre 35 a quasi 52 miliardi di euro) e fra i 618mila e gli 893mila posti di lavoro entro il 2020», con un comprensibile picco nel 2012 ma effetti spalmati nel tempo. In particolare, la «costruzione del Parco Olimpico ha generato uno stimolo importante al settore delle costruzioni nel momento in cui era fortemente penalizzato dalla recessione».



Ma i benefici hanno riguardato un po’ tutti i settori, e si sono poi concentrate su aree specifiche come Westfield nella zona Est di Londra. I visitatori da oltreoceano sono stati 800mila e hanno portato ben 600 milioni di sterline (360 milioni dai visitatori britannici), escluso il ricavo dei biglietti. Il dossier del governo britannico stima che l’impatto netto dei Giochi sull’industria del turismo nel 2012 ha raggiunto il picco di 890 milioni di sterline, senza considerare la nuova «percezione» nel mondo del Regno Unito come meta turistica. In totale, i visitatori “olimpici” hanno speso qualcosa come 2.4 miliardi di sterline (oltre 3 miliardi di euro). Dati che confermano il contenuto e lo spirito del rapporto Fortis del 2012 per il quale in 13 anni, fino al 2025, se Roma avesse ospitato le Olimpiadi nel 2020 vi sarebbe stato un aumento dell’1,4 per cento del PIL nazionale, pari a 17,7 miliardi di euro.



Tutte le regioni sarebbero state coinvolte, anche se il grosso dei ricavi sarebbe andato al centro con un aumento di quasi il 4 per cento e incrementi dello 0,5 al Nord e dell’1 per cento al Sud. I posti di lavoro in più sarebbero stati 170mila, una media di 12mila l’anno con un picco di 29mila nel 2020. Decisivi per l’immagine dei relativi paesi le Olimpiadi di Pechino 2008 e Sidney 2000, senza considerare che a Barcellona, nel 1992, è rinata la Spagna. Per Roma 2020 si erano calcolati investimenti per 9,7 miliardi di euro (assai meno per Pechino e Londra): 2,5 per l’organizzazione, 2.8 per le infrastrutture sportive e 4,4 per i trasporti e i progetti urbani (5 coperti da risorse private).



LE CIFRE

Le cifre del dossier Fortis sono destinate a un aggiornamento sulla base delle indicazioni che arrivano dal Comitato olimpico internazionale per un abbattimento dei costi (e quindi una maggiore concorrenza e possibilità di scelta tra candidati per le prossime edizioni). Nella gara per l’assegnazione dei giochi invernali del 2022, infatti, sono stati più i ritiri delle candidature (sul campo sono rimaste Cina e Kazakhistan, con Pechino e Almaty), in più la vittoria di Russia e Brasile per Sochi 2014 e Rio de Janeiro 2016 hanno dimostrato che per aggiudicarsi un’Olimpiade bisogna essere Stati giganteschi, colossi mondiali.



Ecco perché oggi prevale piuttosto l’idea, a Losanna come a Roma, di Olimpiadi low-cost. La prima metà di dicembre sarà decisiva per definire la platea di candidati. E Roma ci sarà. Riflettori puntati sulle decisioni del CIO ma anche sulla cerimonia dei Collari il 15 dicembre nel Salone d’Onore del Foro Italico con Matteo Renzi, Malagò e il sottosegretario con delega allo Sport, Graziano Delrio.



Ma che cosa significa low cost? Sono 40 le raccomandazioni “econome” del CIO contenute in un documento che sarà votato l’8-9 dicembre a Monaco. In sostanza, si tratta di riciclare ciò che già esiste, spalmare sul territorio le competizioni, fissare alcuni tetti (per esempio al numero degli atleti, 10500). La parola d’ordine è “decentrare”. Saranno Olimpiadi su misura dei candidati, per non escludere nessuno. Benvenuto l’impiego di impianti già esistenti o di strutture temporanee, abbattimento dei costi di organizzazione (un segnale lo darà anche il CIO, che pagherà le spese della commissione giudicante), possibilità di destinare gare e specialità a città diverse o addirittura altri Stati. Porte aperte, di fatto, a candidature doppie.



Tutte novità che rendono ancora più concreta la prospettiva di una candidatura italiana. Regole più flessibili ci aiuteranno. Malagò sostiene di avere già la garanzia di 2 miliardi di euro dagli sponsor. Interessanti gli sviluppi non solo per gli impianti sportivi della capitale, ma per il rilancio di infrastrutture come l’aeroporto di Fiumicino. Napoli, Milano, Firenze parteciperebbero ospitando gare di nuoto, canottaggio, scherma. Ma quali sarebbero le rivali? Per il momento, sicuramente l’azera Baku e Doha, in Qatar, ma si profila un braccio di ferro esteso a Parigi, Berlino, perfino una grande città americana (Los Angeles o San Francisco). E la Turchia con Istanbul. La decisione nell’estate 2017.
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