Malati di multitasking: pedagoghi e psicologi avvertono dei rischi

Malati di multitasking: pedagoghi e psicologi avvertono dei rischi
di Antonio Galdo
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Venerdì 31 Ottobre 2014, 23:04 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 11:39
Provate a bloccare un ragazzo mentre contemporaneamente smanetta con il cellulare e guarda la tv, oppure scrive una mail e scarica una canzone dallo smartphone. Provate a lamentarvi durante una conversazione se il vostro interlocutore, mentre vi ascolta, scrive sms a raffica. Provate insomma a fermare l’onda inarrestabile del multitasking, fare più cose contemporaneamente grazie innanzitutto alle opportunità offerte dalla tecnologia. Impossibile. Per i giovani “nativi digitali” il multitasking è quasi uno stile di vita, un modo per mostrarsi smart, intelligenti e reattivi, e non potrebbero mai convincersi di quanto sia opportuno, in molte occasioni, fare una sola cosa per volta. Per i meno giovani che, rovesciando il paradigma generazionale, inseguono e copiano le abitudini dei figli (e non viceversa), staccarsi dal multitasking è altrettanto difficile perché significherebbe riconoscere un handicap oggi inaccettabile.



I RISCHI

Morale: tutti viviamo in questa lavatrice dove pensiamo di cavalcare la modernità affastellando, una sull’altra, le cose che facciamo in tempo simultaneo. «E tutti corriamo i rischi che derivano dal multitasking, a partire dalla possibilità di costringere il cervello a un’attività che non è nella sua natura. Da qui ansia, stress e perfino depressione» avverte Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione europea sui disturbi e gli attacchi di panico.

In realtà gli allarmi sui danni del multitasking si susseguono a ciclo continuo. Secondo una recentissima ricerca dell’università di Londra, pubblicata da Forbes, i rischi arrivano fino alla diminuzione del nostro quoziente intellettivo (un adulto perde 15 punti e si avvicina al QI di un bambino): diventiamo più stupidi, come se fumassimo abitualmente la marijuana. E facciamo fatica a conservare concentrazione, creatività, pensiero. Allo stesso tempo, altro fattore di rischio, il multitasking, quasi strisciando nella nostra anima, ci avvolge in una sorta di delirio di onnipotenza, nel quale l’illusione è che tutto diventa possibile.



I più esposti all’effetto-multitasking sono naturalmente gli adolescenti, anche per l’iper consumo degli strumenti dell’universo digitale e per la sovrapposizione della televisione con Internet. La Società italiana di Pediatria ha calcolato, in uno studio intitolato Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani, il tempo trascorso con le appendici tecnologiche, molto spesso usate in simultaneità, delle nuove generazioni. Più di tre ore al giorno davanti alla tv (il 13 per cento dei ragazzi intervistati), più di tre ore navigando su Internet (il 26 per cento), con una forte concentrazione dell’uso del pc dopo cena (56 per cento) e prima di addormentarsi (34,7 per cento). Risultato: più di un terzo degli adolescenti italiani fa fatica a prendere sonno, e questa percentuale sale al 50 per cento se si passano in rassegna gli studenti universitari. Già, perché il multitasking ha anche questa controindicazione: peggiora la qualità del nostro sonno e abbassa il numero delle ore in cui riusciamo a dormire.



Una volta chiariti i termini della diagnosi, e dando anche per scontato un certo quoziente di allarmismo nelle ricerche scientifiche, resta aperto il campo della terapia. La domanda semplice nella formulazione ma altrettanto complicata sul piano della risposta è la seguente: Che fare? Una prima pista che gli psicoterapeuti suggeriscono è quella di non cedere al pessimismo: il multitasking è entrato nelle nostre vite, ormai a più strati e orientate dalla bussola della velocità a qualsiasi costo, e dunque è inutile provare a cancellarlo con un colpo di spugna. Dobbiamo misurarci con le sue seduzioni, e semmai provare a mettere in campo qualche utile alternativa. È quello che propone, per esempio, il professore Paolo Ferri, docente di Teoria e tecnica dei nuovi media all’università Bicocca di Milano, nel suo libro appena pubblicato I nuovi bambini, come educare i figli all’uso della tecnologia senza diffidenza e paura (edizioni Rizzoli).



L’ANALISI

«Viviamo in un mondo che è insieme reale e digitale, dove entrambe le dimensioni si intersecano di continuo, ed è con questa realtà che dobbiamo misurarci» scrive Ferri. Al centro della sua proposta c’è una sorta di “educazione digitale”, dove alla repressione (con il divieto dell’uso di pc, cellulati e tv durante alcune del giorno) o alla rassegnazione (con i genitori che alzano le mani e dicono ai figli “fate quello che volete”) si sostituisce la condivisione. Se andiamo al cinema con i figli, lasciando a loro la scelta del film, perché non dovremmo provare a condividere tempo e navigazione nell’universo del web? Saranno quelli i momenti nei quali potremo convincere i nostri interlocutori che il passaggio dal multitasking al singletasking presenta alcune convenienze. Per esempio: fare tante cose insieme, significa correre il rischio di farle tutte male, e poi pagarne le conseguenze. O anche non gustarne a pieno il significato. E ancora: una cosa per volta richiede delle scelte di priorità, di tempi, di dedicarsi a un obiettivo giusto nel momento giusto. Un altro elemento di convenienza, perché selezionare riduce la fatica e ci avvicina con più facilità al traguardo, come nel caso degli studi. Insieme, genitori e figli possono trovare alternative alla febbre tecnologica, da una passeggiata all’aria aperta al recupero della conservazione che per sua natura non può essere interrotta dalla frenesia del multitasking. «Ma in ogni caso possiamo difenderci dai tanti rischi che corriamo, grandi e piccoli, genitori e figli, solo tornando a uno stile di vita più pacato, meno prigioniero delle possibilità che ci offre la tecnologia», avverte la professoressa Vinciguerra. Ma si può essere più pacati laddove siamo circondati da un’umanità che corre, corre, talvolta senza sapere neanche dove va? Si può, a condizione di non restare prigionieri di un oggetto e di riprendersi il proprio tempo.