Notti proibite a Marrakech, la rivoluzione di Much loved

Notti proibite a Marrakech, la rivoluzione di Much loved
di Fabio Ferzetti
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Mercoledì 7 Ottobre 2015, 05:42 - Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 13:51
La vita di quattro giovani escort, che dividono la casa e a volte gli appuntamenti, raccontata dal loro punto di vista. Con immagini a dir poco esplicite, linguaggio crudo anche se non privo di humour. E nessuna reticenza riguardo al loro modo di vivere un lavoro che si sono scelte, cercando di massimizzare i guadagni e di minimizzare i danni. Fisici e morali naturalmente.

Nato da una lunga inchiesta sul campo e interpretato da attrici non professioniste che conoscono bene quel mondo, pur non facendone parte, Much Loved farebbe scandalo anche in Occidente. Figuriamoci in Marocco, dove regista e interpreti hanno subito una vera persecuzione e addirittura minacce di morte da quando le prime immagini del film hanno iniziato a circolare sul web, ancor prima della presentazione a Cannes (oggi vivono sotto scorta). E tutto perché le notti brave di Noha, Randa e Soukaina, a cui più tardi si aggiunge la tenera e goffa paesana Hlima, aggrediscono tutti i tabù.

Allegri festini, in Italia diremmo bunga bunga, con ricchi sauditi in vacanza a Marrakech, che pagano bene e pretendono molto, tanto per ricordarci quali sono i rapporti di forza tra paesi arabi (non manca la stoccata degli sceicchi contro gli “accattoni” palestinesi). Stratagemmi di ogni tipo per concedere il minimo (anche se Noha e compagne non si tirano certo indietro) e magari prendersi qualche “extra”. Chiacchiere fitte di dettagli piccanti per vincere la routine, superare lo squallore e affermare in qualche modo la propria superiorità.

Anche se basta un cliente che le denuncia, un amante stufo di farsi prendere in giro, o un poliziotto taglieggiatore e stupratore a ristabilire la legge del più forte. Ricordandoci che il vero scandalo del film non è tanto la crudezza con cui rappresenta il sesso, inconcepibile in un paese islamico, ma il coraggio con cui denuncia l'ipocrisia di una società in cui tutti fingono di non vedere.



TEMI FORTI

Nato a Parigi nel 1969 da padre marocchino e madre ebrea francese, poi tornato a fare cinema in Marocco, anche come produttore, Nabil Ayouch predilige da sempre i temi forti. Nei suoi film precedenti ha raccontato i bambini di strada (ne appare uno anche qui, che ammette a sua volta di prostituirsi, ed è l'unico momento in cui le protagoniste si indignano davvero), il conflitto israelo-palestinese, le bidonvilles come incubatrici di jihadisti. Stavolta punta il dito contro la realtà “invisibile” e insieme arcinota della prostituzione nel suo paese, squarciando la cappa dell'ipocrisia ché copre attività tanto deprecate quanto redditizie.



DISPREZZO

È la contraddizione in cui si dibatte Noha, che non ha più gesti d'affetto per il figlio, e mal sopporta il disprezzo della propria famiglia, anche se è lei a mantenerli. Alla denuncia di Ayouch del resto non manca nulla. Dai clienti, sempre stranieri, ai poliziotti corrotti, alle maîtresses che fissano tariffe e percentuali, all'autista sempre ingrugnato che le porta agli appuntamenti e ascolta le loro battutacce (l'unico personaggio maschile positivo). Fino allo spiraglio di speranza su cui si chiude questo film generoso, a tratti didascalico e letteralmente cucito addosso alla pelle delle intrepide protagoniste. Ma potenzialmente più incendiario - la proibizione in Marocco è lì a provarlo - delle già archiviate primavere arabe.