La maledizione dei reperti trafugati da Pompei

La maledizione dei reperti trafugati da Pompei
di Laura Larcan
3 Minuti di Lettura
Lunedì 22 Dicembre 2014, 23:37 - Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 00:12
«Signore, Vi mando un pezzo de mattone raccolto al centrale de una piazza del sito de Pompei in agosto 1975. Uno errore de giovinezza. Con scuse».

Sul foglio di carta le parole sono scritte in un italiano non corretto, di mano straniera, a penna, in corsivo. La letterina di pentimento accompagna un pacchetto postale arrivato dalla Francia, indirizzato agli uffici della Soprintendenza speciale ai beni archeologici di Pompei. Dentro, vari pezzi: un frammento di intonaco dipinto, un tassello di mosaico, una pietra e un mattone.



Il bello è che risalgono a duemila anni fa. Rubati a Pompei da mano anonima. Portati oltralpe come souvenir di gran prestigio. E ora restituiti alla città, con sommo pentimento. Pezzi che ora sono sul tavolo del soprintendente Massimo Osanna. Ma non è certo un caso solitario, questo. Perché pacchi come quello francese, a Pompei sono diventati una tradizione. Un fenomeno dall’aura folcloristica unica. «Riceviamo decine di pacchetti postali ormai da anni per centinaia di reperti - racconta Massimo Osanna - Ma la cosa ancora più curiosa, da un punto di vista antropologico, sono le lettere di accompagnamento dei reperti trafugati, che svelano uno spaccato umano tutto da studiare».



IL RETROSCENA

All'origine del pentimento c'è, infatti, un retroscena. Già, proprio quella maledizione che aleggia su Pompei e su chiunque osi rubare un pezzo dell’antica città, sepolta da cenere e lapilli dalla furia del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. «Una vox populi che ho scoperto anch’io quando sono arrivato», confessa Osanna. Il fenomeno di restituire reperti trafugati sembra si sia intensificato quando è cominciata a diffondersi la fama che portar via cose da Pompei porti una sfortuna enorme.



«Presumiamo che alle persone che stanno restituendo i pezzi sia successo qualcosa», azzarda il soprintendente. Una tradizione “nera”, quella di Pompei, molto radicata, che dovrebbe affondare le radici nel suo triste destino di città distrutta in modo drammatico. Appena insediatosi alla guida, non certo facile, della città vesuviana nel marzo scorso su nomina del Ministero per i Beni culturali e per il turismo, arrivò un pacco: all’interno trovarono il frammento di affresco rubato nei primi anni ’80 del secolo scorso dalla Casa del Frutteto, dove una parete era crollata. Un reperto facilmente identificabile oggi per le sue scene dipinte, con un fregio floreale dai ricchi motivi di festoni e racemi vegetali. «La domus è stata poi restaurata e dopo i lavori ci si è accorti che mancava sulla parete proprio questo tassello che ora integreremo».



IL SENTIMENTO

Le lettere invocano un pentimento e un perdono come una litania: «Le persone scrivono di essere pentite, di essersi rese conto di aver sbagliato, di aver commesso un errore terribile, che non lo rifarebbero mai più, e per questo restituiscono i pezzi rubati». I biglietti arrivano in tutte le lingue, non solo in italiano. I pacchi svelano oggetti di tutti i tipi, dai meno preziosi, come pietre, tessere di mosaico, frammenti di intonaco, marmetti. Fino a pezzi pregevoli come affreschi figurati.



E l’antefissa a forma di testa, in terracotta, che decorava il tetto del quadriportico dei teatri che è stata riportata quest’anno a mano, da una signora arrivata direttamente dal Canada. «Ha raccontato di averla rubata nel 1964 durante il viaggio di nozze a Pompei - ricorda Osanna - È venuta in Italia per restituircela». In tutte queste vicende si percepisce il gusto di portarsi via un souvenir speciale da Pompei.

D'altronde, Pompei offre 44 ettari di rovine: «In passato si poteva osare, soprattutto negli anni ’50 e ’60», commenta il soprintendente. Alcuni dei reperti, oggi, sono identificabili in modo immediato, altri appaiono più enigmatici, come le losanghe in marmo di pavimento restituite mesi fa e di cui si sta cercando il luogo d’origine esatto. A questo patrimonio rubato il soprintendente Osanna sta dedicando ora un lavoro di catalogazione: «Questi reperti raccontano una storia che appartiene a Pompei, per questo vorrei costruire una mostra che parta dal fenomeno, e ripercorra i casi di danni subiti da Pompei». Maledizione a parte, il ministro Dario Franceschini ha una sua idea: «Penso che l'attenzione delle istituzioni su Pompei abbia contribuito a sollecitare a livello internazionale una coscienza civile nei confronti del nostro patrimonio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA