La Liberazione liberata: il 25 aprile perde la sua centralità, si comincia a guardare avanti

La Liberazione liberata: il 25 aprile perde la sua centralità, si comincia a guardare avanti
di Mario Ajello
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Lunedì 20 Aprile 2015, 22:08 - Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 08:44
Uno strano 25 aprile. Il giorno della Liberazione compie settant'anni e si presenta del tutto diverso rispetto agli anniversari che lo hanno preceduto. Sembra un po' più leggero sia rispetto alla tradizionale retorica ideologica e propagandistica della sinistra sia nei confronti del revisionismo o "rovesciamo" storico più andante negli anni scorsi.



Che è servito alla cultura moderata del centrodestra al potere per fronteggiare gli avversari sul terreno dell'egemonia delle idee, che gli eredi del Pci hanno in gran parte perduto ma i loro dirimpettai non hanno saputo conquistare sul campo.



E dunque, mai come stavolta il 25 aprile, pur continuando in parte a dividere, non accende più le passioni di un tempo. E non perché l'Italia sia davvero pacificata ma perché, forse, si comincia un po' di più a guardare avanti e la ricerca del futuro - almeno nella comunicazione di Matteo Renzi che é quella al momento dominante - prevale sullo sguardo rivolto verso il passato. E l'omaggio alla Resistenza, per più di mezzo secolo caposaldo della sinistra in Italia e strumento per tenerla unita almeno su questo viste le divisioni su tutto il resto, ormai nell'età post-ideologica e della concentrazione sul problema della crisi economica, del lavoro che non c'è e di una nazione che deve tornare competitiva nel mondo, non va molto oltre ai tweet come questo del ministro Maria Elena Boschi: «Grazie a chi allora lottò per il nostro futuro».



E del resto, mentre si tenta di costruire un Partito della Nazione, ossia il Pd che allargarsi a tutti, perché insistere su storie di un secolo fa che pur essendo state fondanti per la Repubblica restano elementi di divisione tra molti cittadini specie i più anziani, che sono anche quelli che votano di più?



O ancora. Se negli anni in cui bisognava inseguire il successo popolare della destra forzista e finiana fu sdoganata a sinistra - celebre il discorso di Luciano Violante sui ragazzi di Saló - la quasi equivalenza tra le ragioni di chi combatté per la libertà e di chi invece si schierò dalla parte sbagliata, adesso che l'avanzata "fascio-berlusconiana" (cosí la chiamavano) si é esaurita si torna sempre di più all'impostazione originale. Come conferma il discorso di Sergio Mattarella, in questa vigilia del 25 aprile: «No a pericolose equiparazioni tra le parti». E in più il coro di Bella ciao, intonato in Parlamento con tanto di presidente Boldrini ispirata e commossa, ma più come fatto oleografico (anche la maglietta del Che la indossano tutti ed è un brand post-politico) che come forma di un nuovo impegno per chissà quali battaglie vetero-resistenziali o neo-resistenziali.



DICOTOMIA

Questo strano anniversario del 25 aprile cade nel momento in cui la dicotomia destra-sinistra é ai suoi minimi storici. Si festeggiava in pompa magna il 25 aprile come reazione a Berlusconi il "nuovo Duce", che ha sempre snobbato le celebrazioni del 25 aprile. Tranne che all'indomani del terremoto in Abruzzo, quando fece il suo discorso tra le rovine del paesino di Onna avvolto in un fazzoletto da partigiano. E comunque basti ricordare l'immensa manifestazione sotto la pioggia a Milano un mese dopo la prima vittoria elettorale, nel marzo del 1994, della neonata Forza Italia a cui bisognava contrapporre una nuova Resistenza. Ora invece, addirittura, a Roma il consueto corteo dell'Anpi non si terrà e non solo per evitare contestazioni alla Brigata ebraica ma anche perché l'evento suscita minori stimoli rispetto a prima.



Non c'é più il nemico contro cui scagliare il 25 aprile. Ma non c'è neppure più - e infatti tutti la cercano, da Maurizio Landini a Susanna Camusso fino a quelli della minoranza Pd - una sinistra che somigli a quella di sempre. E che quindi palpiti per la festa della Liberazione. Che é sempre servita al Pci e ai suoi eredi anche per sbandierare l'intoccabilità della Costituzione contro chi, prima e dopo la tentata Grande Riforma di Bettino Craxi, abbia osato "manomettere la Carta". Adesso, ed ecco una delle bizzarrie di questo 25 aprile, a mettere mano alla Costituzione è proprio il partito che viene dal Pci e al quale i critici di sinistra rimproverano una sorta di generale tradimento delle radici storiche. E dunque non è escluso, bizzarria per bizzarria, che in qualche manifestazione di domenica prossima il "dittatorello", contro cui scagliare l'accusa di perseguire la "democratura" invece che la democrazia nata 70 anni fa, diventi nelle grida di piazza l'attuale segretario del partito che fu, per esempio, guidato da Luigi Longo, il famoso "comandante Gallo" dei tempi dell'epopea partigiana.



PASSIONE

Ma per riaccendere davvero la passione per il 25 aprile non basta, con ogni probabilità, neppure il "dittatorello". La festa della Liberazione fu all'inizio, fino al 1947, il trionfo dello spirito unitario e patriottico che avrebbe rifatto l'Italia. Già nel '48, con il trionfo della Dc il 18 aprile e la guerra fredda in corso, Mario Scelba addirittura vietò le manifestazioni pubbliche per la ricorrenza. Che da quel momento é stata sequestrata dalla vulgata del Pci al grido "L'Italia migliore, quella che ha combattuto il fascismo, siamo noi" (come se non fossero stati anche i monarchici, i cattolici, i socialisti, i liberali). E insieme é diventata parata ideologica anti-riformista e conferma della capacità della sinistra di appropriarsi della storia e dei suoi modi di leggerla.



Oggi invece a chi serve più il 25 aprile? Come è stato concepito finora, non serve più a nessuno. E questa è la cosa più bella che gli potesse capitare: la liberazione della Liberazione. Anche se i colpi di coda della contesa ideologica non sono finiti e se il rischio, per questa Liberazione liberata, è quello di non diventare finalmente oggetto di buoni studi. Ma di essere consegnata all'oblio o al culto di un presentismo e di un futurismo che da soli non bastano.



(1-continua)
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