Terrorismo, Jaco Van Dormael: «La religione non c’entra, i reclutatori fanno leva sull’ignoranza»

Terrorismo, Jaco Van Dormael: «La religione non c’entra, i reclutatori fanno leva sull’ignoranza»
di Fabio Ferzetti
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Venerdì 27 Novembre 2015, 00:03
ROMA Jaco Van Dormael è uno dei pochi registi belgi contemporaei di notorietà mondiale. Dai tempi di Toto le héros (1991) e poi dell’Ottavo giorno (1996), che a Cannes fruttò un doppio premio per l’interpretazione a Daniel Auteuil e al coprotagonista Pascal Duquenne, affetto da sindrome di Down, il suo cinema e il suo teatro sono un inno alla tolleranza e alla fantasia. Ma il suo nuovo film, un’esilarante fantacommedia uscita ieri in Italia, si intitola Dio esiste e vive a Bruxelles. E anche se non ha nulla a che vedere con l’Islam e tanto meno con l’integralismo, è stato girato in gran parte proprio nel quartiere di Molenbeek. Inevitabile dunque chiedere a Van Dormael una testimonianza sulla sua città.
Bruxelles si è scoperta di colpo “capitale” dell’integralismo islamico. L’ostilità di una parte degli immigrati era già sensibile come a Parigi, o è stato un fulmine a ciel sereno?
«Cercherò di parlare da semplice cittadino. Il Belgio è da sempre un facile rifugio. In meno di un’ora si possono raggiungere i Paesi Bassi, la Germania, la Francia o il Lussemburgo. Victor Hugo è venuto a rifugiarsi in Belgio, Karl Marx ci ha scritto il Manifesto del partito comunista, Rimbaud e Verlaine si sono nascosti qui per vivere il loro amore. Io abito a Bruxelles, lavoro spesso a Molenbeek e la mia impressione è che la coesistenza di culture diverse funzioni abbastanza bene in generale. È una delle ragioni per cui amo vivere a Bruxelles. Le lingue, le culture si mescolano continuamente, e questa è una grande ricchezza».

Ma c’è un rovescio della medaglia...
«Bruxelles paga il prezzo del separatismo. Il Nord - fiammingo - spinto dal movimento nazionalista e separatista, si ripiega su se stesso. Mentre il Sud del paese, vallone e francofono, fa altrettanto. Così Bruxelles non interessa più davvero né il Nord né il Sud, e finisce per non avere mezzi sufficienti. Anche l’Istruzione del resto non ha mezzi adeguati. E molti giovani musulmani da una parte finiscono per perdersi fra un’integrazione insufficiente e un eccesso di abbandono scolastico e di disoccupazione, mentre dall’altra non sono capiti dai loro genitori che a loro volta non sanno niente del mondo i cui vivono i figli. Anche perché le donne sono spesso confinate in casa e gli imam conoscono raramente il mondo dei giovani».

La religione non sembra essere determinante insomma.
«Mah, credo che quanto sta accadendo non abbia niente a che vedere con la religione. La religione è usata per esercitare un potere. I reclutatori hanno bisogno di giovani non molto intelligenti, delusi dalla loro vita e facili da indottrinare, per usarli come armi. Noi sganciamo bombe, loro mandano i kamikaze. Cercano di seminare il terrore, così come il dispiegamento di forze speciali serve a intimidire l’avversario».

Come conciliare dunque l’inevitabile stato d’allarme con i principi della democrazia?
«Credo che il cittadino medio di Bruxelles non sappia bene a cosa servano il coprifuoco, l’esercito per le strade, il divieto di radunarsi. Non so neanche se sia stato scoperto davvero qualcosa di nuovo, se tutto questo è utile perché c’è una minaccia reale, o se è solo una prova di forza. Non dimentichiamo che nel governo attuale siedono molti appartenenti alla Nva, partito di destra e separatista fiammingo, che controlla i ministeri della Difesa, degli Interni. E dell’Integrazione».
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