Abraham Yehoshua: «L’Islam non sa stare in minoranza e la Francia ha fallito sull’integrazione»

Abraham Yehoshua: «L’Islam non sa stare in minoranza e la Francia ha fallito sull’integrazione»
di Eric Salerno
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Venerdì 27 Novembre 2015, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 00:03
AB Yehoshua ha più paura dei coltelli in mano ai ragazzini palestinesi che delle bombe di Isis a Parigi o delle minacce del Califfato contro il resto del mondo. «Lei sa bene che amo Parigi e per Parigi sono disposto a confrontare ogni rischio, vero o immaginario. Non vedo l’ora di tornare nella capitale francese a febbraio per presentare il mio nuovo romanzo. Sono stato di recente anche in Italia e vi tornerei volentieri. Nessuna paura. Ma in Israele, la questione è totalmente diversa. Non è terrorismo».
[INTERVISTA]Abbiamo raggiunto lo scrittore israeliano per telefono nella sua casa di Haifa non molto distante dal luogo dove negli anni della seconda Intifada una kamikaze fece strage di arabi ed ebrei in un noto ristorante a pochi metri dalla spiaggia.
Aveva paura in quegli anni? Andava in giro tranquillamente? Mandava suo figlio a spasso?
«Era un periodo orribile. Dal 2000 al 2004, quasi tre anni. Non usavo i mezzi pubblici ma, certo, ero preoccupato per i miei cari. Direi che avevo più paura un anno fa quando mio figlio era in guerra a Gaza».

Yehoshua conosceva bene i proprietari del ristorante arabo-israeliano preso di mira allora e come altri lo riteneva un luogo sicuro proprio perché frequentato dalle due anime contrapposte della realtà del suo paese.
«A Haifa siamo abituati a convivere, arabi ed ebrei cittadini israeliani. A Gerusalemme no. Fino al 1967 non c’erano arabi nella parte israeliana di Gerusalemme. Poi l’esercito conquistò tutta la città e le cose cambiarono. Centinaia di migliaia di palestinesi si trovarono sotto l’occupazione in una città dai confini allargati. Senza riflettere sulle conseguenze, furono annessi tantissimi villaggi arabi e ora paghiamo il prezzo per la follia voluta dai nostri governanti di allora. Parlano ancora di unificazione ma Gerusalemme non è unificata».

Ora non ci sono le bombe ma i coltelli.
«Questa è una dimensione diversa che non riusciamo a digerire. Ragazzi e ragazze spesso molto molto giovani che vanno all’attacco sapendo di morire. E’ una realtà complessa ed estremamente pericolosa. Spaventa perché non si sa come difendersi. La vita quotidiana deve continuare e abbiamo visto in passato come la nostra popolazione è capace di gestire queste situazioni. Devo dire, però, una cosa importante: Generalmente, prima del 1967 vivevamo in una condizione di quasi totale sicurezza qui in Israele. Il vero problema è cominciato con la nostra conquista della Cisgiordania e la cosìdetta liberazione di Gerusalemme».

Dobbiamo paragonare quello che sta accadendo in Israele al terrorismo in Europa?
«Innanzitutto gli attacchi nei territori occupati non mi riguardano. Io non ci vado mai da quelle parti. Ma a Tel Aviv, per esempio, è diverso e c’è da avere paura oggi. In ogni caso, quello che succede qui, da noi, contrariamente a quanto avviene in Europa, non è terrorismo. E’ una lotta che va avanti da 130 anni tra due popoli per il possesso di un territorio. Lotte per l’indipendenza nazionale. Finora il nostro governo non ha voluto compiere passi concreti verso una soluzione del conflitto. Forse l’intifada dei coltelli, di questi giovani palestinesi disperati, spingerà Netanyahu a fare concessioni importanti all’Autorità nazionale palestinese».

I palestinesi si vogliono liberare, ma i terroristi musulmani in Europa cosa rivendicano? E’ una guerra di religione?
«Non sono un esperto ma la religione è soltanto un aspetto della questione. La Francia ha accolto un numero altissimo di musulmani e non è stata capace di digerirli. O meglio non ha saputo integrarli. Non era, non è facile. Gli ebrei erano sempre abituati come minoranza a integrarsi. I cristiani dopo aver rinunciato a trasformare il mondo in cristiano, si sono calmati. L’Islam non è una religione di minoranza. Storicamente, i musulmani non riescono a comportarsi come minoranza. E non sono stati aiutati a farlo in Francia. Non possono tornare ai loro paesi devastati da guerre e dittature e così frustrazione e alienazione li spingono nelle mani degli estremisti religiosi».

Netanyahu insiste che gli eventi di Parigi sono uguali agli attacchi in Israele e nei territori occupati.
«Sono due cose completamente diverse. Forse, almeno in parte, si possono combattere con strumenti simili. Non sono un esperto di terrorismo internazionale ma leggendo le cronache di questi giorni emergono le responsabilità della polizia francese, dell’intelligence. Come sia possibile che soltanto ora vengono individuati i deposti di armi? Perché non sono stati trovati prima? Perché questi terroristi non sono stati seguiti, arrestati prima? Le autorità hanno il pieno diritto di essere severi con questa gente. Sono una piccolissima minoranza in mezzo a una comunità di immigrati che nulla ha a che fare con il terrorismo».

In Israele, negli anni, i vostri servizi di sicurezza sono riusciti a smantellare numerose cellule che hanno seminato morte. L’Europa può fare lo stesso?
«Può fare molto più di quanto non sia stato fatto finora. Ma si ricordi, la sicurezza totale viene soltanto quando si è nella tomba».
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