«Basta alle intercettazioni-gossip»: l’atto d’accusa degli avvocati

«Basta alle intercettazioni-gossip»: l’atto d’accusa degli avvocati
di Silvia Barocci e Sara Menafra
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Venerdì 22 Maggio 2015, 22:43 - Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 13:21
No alle intercettazioni citate per riassunto, che farebbero solo più confusione. Comune disapprovazione per i magistrati che dovrebbero già oggi allegare ai provvedimenti solo i colloqui attinenti all’inchiesta e che invece, spesso, cedono alla tentazione di inserire il dettaglio in più che piacerà alla stampa.



E punire i giornalisti solo in caso di effettiva violazione della privacy, evitando di accanirsi nelle punizioni e tutelando il diritto ad informare. Sono pochi i punti che mettono d’accordo alcuni tra i più noti penalisti italiani quando si parla della necessità di riformare la normativa in tema di intercettazioni. Tema che - ribadisce il premier Renzi - sarà affrontato in giugno.



MENO ASCOLTI

Le soluzioni offerte dai penalisti sono su diversi piani. C’è anche chi tutto sommato, di correzioni alle norme ne inserirebbe ben poche, ritenendo che il problema di fondo sia piuttosto l’imbarbarimento nell’applicazione delle norme esistenti. E’ il caso del penalista Massimo Krogh che negli anni ha seguito i processi più diversi, da quello a Sophia Loren all’attuale dibattimento a carico dell’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino sulla presunta trattativa tra Stato e mafia: «Mi pare che il problema più rilevante sia il fatto che oggi si lavori solo sulle intercettazioni e sul pentitismo, tant’è che fino a qualche anno fa, l’Italia superava gli Stati uniti in numero di ascolti». Diventerebbe in ogni caso inutile punire i giornalisti che pubblicano quelle irrilevanti sul piano penale: «Se viene a conoscenza di qualche notizia, il giornalista ha l’obbligo di scriverne. E se oggi sui giornali finiscono gossip che poco hanno a che fare con i fatti di cui si discute è perché tutto il procedimento giudiziario ha perso rilevanza».



PIÙ RESPONSABILITÀ

Di problema culturale di fondo e di «criterio di responsabilità» da parte di pm e gip parla anche il presidente dell’Unione camere penali, Beniamino Migliucci. «Non si può sempre e solo andare a valle e dare la responsabilità al giornalista. Troppo spesso il gip, nelle ordinanze, fa un taglia e incolla delle richieste del pm». E per il successivo deposito di tutti gli atti dell’indagine? Quando finiscono nelle mani degli avvocati diventano praticamente pubblici, incluse le intercettazioni o le informative non sempre rilevanti. «Si potrebbero fissare i termini per un’udienza filtro e stralciare gli atti irrilevanti», risponde il presidente dei penalisti.



OMISSIS E UDIENZA FILTRO

Carlo Federico Grosso, professore di diritto penale e ex vicepresidente del Csm, non ha dubbi: «Se ci fosse stato un maggiore self restraint da parte di giornalisti e magistrati nel pubblicare e nell’allegare talune intercettazioni, non si sarebbe arrivati a questo punto». La soluzione? Un maggiore ricorso agli omissis nelle ordinanze senza però ricorrere alle sintesi («rischiano di essere fuorvianti»), conservazione degli ascolti in un archivio segreto e un’udienza filtro per espungere dal fascicolo gli atti irrilevanti. Ma niente carcere per i giornalisti.



Giampiero Biancolella del foro di Milano, legale di Callisto Tanzi nel processo Parmalat e Pierangelo Daccò nella vicenda del dissesto dell’ospedale meneghino San Raffaele, concorda sul falla necessità di «tutelare gli indagati e i loro congiunti dalla tendenza dei magistrati a inserire notizie ad effetto ma non penalmente rilevanti nelle ordinanze di custodia cautelare o nei provvedimenti di fermo o sequestro. Chi trasgredisce va sanzionato con un’azione disciplinare o dando al danneggiato la possibilità di adire in giudizio il magistrato».
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