Cannes, derby italiano per i premi: favoriti Garrone e Moretti, possibili sorprese

Cannes, derby italiano per i premi: favoriti Garrone e Moretti, possibili sorprese
di Fabio Ferzetti
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Venerdì 22 Maggio 2015, 22:37 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 01:18
Abbiamo fatto due conti e la sensazione iniziale si è fatta certezza: la grande protagonista quest’anno a Cannes è quella che a Roma si chiama la commare secca. Declinati nelle forme più fantasiose, trapassi, suicidi e agonie occupavano baldanzosamente, e con risultati a volte memorabili, circa metà dei film in concorso. Come si è visto anche al penultimo giorno con i due film in concorso. Una commedia fantastica francese intitolata Valley of Love ma tutta girata nella Valle della Morte (appunto).



E un film che segue un infermiere specializzato in malati terminali così bravo da diventare indispensabile ai suoi assistiti quanto loro lo sono per lui. Come se curare moribondi potesse diventare una dipendenza che copre mancanze e traumi segreti (Chronic del messicano Michel Franco, che per avere Tim Roth ha portato il film negli Usa e lo ha riscritto al maschile).



Il più divertente, si fa per dire, è il primo, anche perché Gérard Depardieu e Isabelle Huppert sono grandiosi (lui letteralmente) nei panni degli ex-coniugi litigiosi convocati nel deserto della California dal figlio. Che si è tolto la vita sei mesi prima e ora, con una lettera postuma, vuole riunire mamma e papà un’ultima volta, promettendo di manifestarsi in modo imprecisato purché passino una settimana insieme in quel posto infernale.



Tra inquietanti apparizioni notturne e fans molesti nella piscina del motel (anche nella finzione Gérard e Isabelle fanno gli attori), Valley of Love parte come la tipica commedia post-coniugale francese ma sterza presto verso una zona che sta fra David Lynch e Ai confini della realtà. Perché immaginare fa più paura che vedere, e nessun effetto speciale può competere con la pancia enorme che Depardieu, quasi sempre a torso nudo, esibisce come un rimprovero (o forse un rimorso) per buona parte di questo film sconcertante e affascinante.



Poco spazio all’immaginazione lascia invece il messicano. Che pedinando la vita ordinata ma tutt’altro che ordinaria dello scrupoloso Tim Roth mette a fuoco una sorta di attualissima “psicopatologia del badante”. Silenzioso e concentrato, ma anche sfuggente e all’occorrenza bugiardo, Roth assiste i malati, li lava, li conforta, se richiesto li aiuta pure a andarsene, soprattutto indovina emozioni e bisogni inespressi assai meglio di quelle famiglie distratte o sopraffatte. Naturalmente tanta dedizione nasconde a sua volta un segreto, ma il film resta un po’ a metà strada tra la scoperta di un mondo sgradevole e lo studio del caso clinico e rivelatore.



Niente di nuovo insomma, salvo sorprese, per l’ormai imminente premiazione. Cosa avrà colpito la giuria presieduta dai fratelli Coen? Considerati gli altri registi in giuria, il messicano Guillermo Del Toro, grande esponente del cinema fantastico, e il canadese Xavier Dolan, cinefilo e enfant prodige, fra gli italiani il favorito dovrebbe essere Matteo Garrone, il più vicino ai gusti degli autori del Labirinto del Fauno e di Mommy.



I FAVORITI

Ma spesso i registi amano film diversissimi dai loro (proprio qui due anni fa Spielberg incoronò La vie d’Adèle), e in giuria c’è anche una folta presenza femminile: Sienna Miller, Sophie Marceau, Rossy De Palma, più Rokia Traoré, attrice e musicista del Mali, infine Jake Gyllenhaal.



Difficile immaginare quale film possa sedurre un insieme tanto composito. In questo senso l’entusiasmo internazionale sollevato da Mia madre tornerebbe a giocare in favore di Moretti, più sommesso e personale, meno virtuosistico e spettacolare degli amici-rivali Garrone e Sorrentino. Difficile anche pensare che uno dei due riconoscimenti maggiori, palma o Gran Premio della Giuria, non vada al moderno classicismo di Carol.



Ma la giuria potrebbe anche dividersi. E magari sparigliare premiando finalmente, l’eterno secondo Jia Zhangke, che ha fatto un film magnifico sulla Cina del nuovo millennio. O Laszlo Nemes, unico esordiente in gara (un po’ troppo austero però come Palma d’oro, in un anno così attento allo spettacolo). O magari promuovere Dheepan per come concilia serietà del tema e cinema-cinema. In ogni caso il palmarès fornirà un’indicazione forte anche sul concorso, mai così disordinato e discontinuo. Uguale a se stessa per anni sotto Gilles Jacob, Cannes sta cambiando, e non necessariamente in meglio. Alla giuria il compito di promuovere o bocciare il nuovo corso.
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