Report, dopo Moncler è il turno di Gucci:
«Fa made in Italy con i cinesi sottopagati»

Report, dopo Moncler è il turno di Gucci: «Fa made in Italy con i cinesi sottopagati»
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Lunedì 22 Dicembre 2014, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre, 18:18
ROMA- Dopo l'inchiesta su Moncler Milena Gabanelli nella trasmissione Report prende di mira Guggi. Un marchio italiano venduto ai francesi che però hanno deciso di lasciare la produzione in Italia.

Apparentemente un mantenimento del Made in Italy finalizzato anche a non licenziare i lavoratori italiani, mala realtà dei fatti non è proprio questa, come mostra il servizio. La politica portata avanti da Gucci, denuncia la Gabbanelli, sta distruggendo uno dei protagonisti indiscussi del made in Italy italiano, l'artigiano. Per un semplice motivo: l'abbattimento dei prezzi (che Gucci paga ai fornitori) fa sì che gli artigiani si avvalgano dei lavoratori cinesi che operano in Italia.



Report fa un'analisi precisa: Una borsa venduta a 850 euro ha un costo di manodopera di 30, in cui è inclusa ogni fase per Gucci dell'assemblaggio, ma l'artigiano viene pagato 24. A ogni borsa, dunque, manca il 30% di valore. E se moltiplicate 6-7 euro per mille borse, per dieci mesi di produzione, arriviamo a 60-70mila euro in meno che l'artigiano intasca. I cinesi riducono ancora di più i costi, visto che lavorano in nero per 13-14ore giornaliere per avere 14 euro a borsa. Restano solo pochi italiani in azienda che fanno da presta nome.



Così nell'inchiesta ci si chiede se Gucci sappia o meno di quello che accade nelle industrie e sembra proprio che sia cosi. O meglio, gli ispettori lo sanno. E dopo che succede? Evidentemente si fa finta di nulla. La Gabanelli sentenzia: "Gucci col made in Italy fa profitti per un miliardo di euro".



LA REPLICA DI GUCCI

Gucci «si dissocia nel modo più assoluto» dai contenuti e dalla forma del servizio mandato in onda domenica 21 dicembre da Report. «Telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (3 laboratori su 576) non sono testimonianza della realtà Gucci», spiega l'azienda in una nota in cui risponde punto per punto su mano d'opera, filiera, laboratori e prezzo del profitto. «Gucci ribadisce fortemente la correttezza del proprio operato impegnandosi a rendere sempre più efficaci le azioni conseguenti alle ispezioni, che saranno sempre più numerose» conclude una nota in cui si precisa che «la signora Gabanelli non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando».



«Il servizio ha accusato Gucci di consigliare l'utilizzo di 'forza lavoro cinese a basso costò. Tutto ciò è falso e destituito di ogni fondamento e fortemente diffamatorio», contesta l'azienda in una nota, «così come lo è la frase del servizio : '..... all'interno dell'azienda ...ci deve essere un prestanome italiano...'». «Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola - sabotando i sistemi di controllo in essere - è una truffa dalla quale Gucci si dissocia e che perseguirà in tutte le sedi», dice il gruppo e fornisce i propri numeri: «produce il 100% della pelletteria in Italia dando lavoro a oltre 7.000 addetti tra fornitori di primo livello (1.981) e fornitori di secondo livello. Di questi addetti, circa il 90% sono di nazionalità italiana, mentre tutte le 576 aziende sono italiane. Tutti i fornitori di primo e di secondo livello vengono regolarmente controllati (circa 1.300 verifiche l'anno, anche notturne) sul rispetto delle regole e il corretto trattamento delle persone. Ricordiamo che il lavoro notturno, se svolto secondo la normativa, non è reato: si chiama straordinario o turnazione».



Gucci «depreca la rappresentazione che Report ha voluto dare di un'azienda che, contrariamente da quanto rappresentato, da anni sta operando per mantenere la produzione in Italia e percorrerà tutte le strade per tutelare i propri diritti, la propria immagine e il proprio marchio, nonchè il lavoro di oltre 45.000 persone in Italia tra dipendenti diretti e filiera produttiva». Il lavoro sulla filiera, rivendica la nota, «ha consentito e consente la tracciabilità dell'intera filiera stessa in maniera trasparente e condivisa con tutti i soggetti coinvolti (Organizzazioni Sindacali del territorio, Confindustria e CNA Firenze). Un modello che dovrebbe essere valorizzato e apprezzato, come sarebbe emerso qualora Report si fosse interessato anche agli oltre 500 altri laboratori che lavorano in maniera sana. Ciò detto Gucci continuerà a vigilare con attenzione per reprimere tutti i comportamenti in contrasto con il Protocollo sulla Filiera adottato fin dal 2009».



Il servizio di Report nasce da una lettera inviata in redazione da un artigiano Aroldo Guidotti a giugno scorso. «Il signor Guidotti, attraverso la sua società Mondo Libero, ha contribuito da metà 2013, attraverso Almax, al fatturato degli accessori Gucci per lo 0,19% dell'intera produzione - sottolinea la nota dell'azienda - Negli ultimi mesi, Mondo Libero ha subìto diversi controlli, anche notturni, a seguito dei quali sono emerse irregolarità relative all'assunzione del personale. Gucci ha chiesto la regolarizzazione di tali situazioni e Mondo Libero ha fornito evidenza che tali irregolarità erano state affrontate e per la maggior parte risolte. Per quanto riguarda l'apparente titubanza dell'ispettore ripreso a telecamere nascoste - prosegue la nota - si ricorda che le ispezioni avvengono in due parti: la prima è di controllo documentale e la seconda di azione. Le riprese televisive sono focalizzate sulla prima parte. Ricordiamo altresì che gli ispettori non hanno poteri coercitivi immediati, ma di audit. E l'audit ha evidenziato irregolarità che sono state risolte». Per quanto riguarda il prezzo del prodotto infine secondo Gucci «Report compara in maniera errata il prezzo di una borsa al pubblico con il costo di una singola fase di lavorazione. I 24 euro citati dal servizio si riferiscono solo all'assemblaggio parziale e non considerano minimamente, ad esempio, il costo della pelle, il costo del taglio, quello degli accessori, il confezionamento, la spedizione e tutto quanto necessario a rendere la borsa disponibile in negozio, fattori che moltiplicano fino a 25 volte quel numero».



REPLICA DI ROSSI, PRESIDENTE REGIONE TOSCANA



Anche Enrico Rossi, predidente della Regione Toscana replica con un tweet: «@reportrai3 non sa di cosa parla. La Regione Toscana controlla a Prato 10 aziende cinesi al giorno. @gucci è un'azienda seria. La Toscana è in prima linea contro la contraffazione. Gucci ha un accordo con sindacati e istituzioni per il controllo della filiera. Report dice il falso sulla Toscana. Non siamo zona franca. Insieme alle imprese serie combattiamo il lavoro nero». Poi chiude: «Toscana zona franca: slogan falso per alzare l'audience. Non rende giustizia al lavoro di imprese, sindacati e istituzioni per la legalità».