I greci potrebbero rifiutare le condizioni richieste dalla Troika e fallire il giorno dopo. E, tuttavia, nessuno potrà sbattere fuori dall’euro i greci, a meno di voler operare un inedito “colpo di stato” a livello europeo: del resto uno dei problemi dell’euro è che fu concepito come un matrimonio senza alcuna clausola che preveda e disciplini un eventuale divorzio.
Tale circostanza rende ancora più evidente che il Ministro dell’Economia Padoan ha ragione quando dice che il rischio di contagio è piccolo. Ma solo perché non si capisce chi è più malato: la Grecia per eccesso di debito pubblico o l’Europa per difetto di qualsiasi capacità residua di rispondere anche ad uno solo dei problemi, sempre più numerosi, che si trova a dover risolvere. La tragedia greca, del resto, dimostra che dopo aver chiesto “riforme” a tutti, è l’Europa ad avere bisogno delle riforme più radicali.
A ricevere una sonora bocciatura è la gestione della crisi greca: non solo negli ultimi cinque mesi di governo di sinistra ad Atene, ma negli ultimi cinque anni. Ma più in generale a rilevarsi sbagliato è il metodo stesso attraverso il quale la costruzione dell’Europa è continuata dal crollo di Berlino in poi; quello con il quale fu disegnato il Patto che avrebbe dovuto garantire una stabilità che non c’è più. Un errore, però, è stato anche contrapporre l’argomento dell’austerità a quello della crescita infilandoci in una di quelle guerre di trincea che impediscono di fare un qualsiasi passo avanti.
Così com’è sbagliata, oggi, la pretesa di chi rimanda la soluzione dei problemi alla creazione di un’Unione politica, senza che nessuno si sia mai davvero preoccupato di crearne le condizioni prendendosi i rischi che il coinvolgimento dei cittadini europei nelle scelte più importanti comporta. L’Europa che è morta, sabato scorso, nella riunione dei Ministri dell’Economia, è un’idea di Europa che va avanti per rattoppi. Che viene spinta verso integrazioni ulteriori dalla forza dell’inerzia di una burocrazia che non è pagata per elaborare visioni di quello che può essere il ruolo dell’Europa in un’economia globale.
A morire è un’Europa dominata dai ragionieri dei tagli lineari capaci di ragionare solo in termini di due o tre parametri - debito e deficit sul Pil, crescita di quest’ultimo; e che sembra aver smarrito qualsiasi capacità di orientare - attraverso il consenso - gli Stati ad una spesa di maggiore qualità, ad una crescita capace di durare nel tempo. Da dove ricominciamo allora? La risposta viene paradossalmente dai due Paesi che sono più vicini ad un’uscita clamorosa. Voteranno, probabilmente, no i greci ad un accordo e ad un metodo che, finora, è sempre partito dall’assunto che l’Europa è questione troppo complicata per poter essere spiegata ai cittadini; ma voteranno, probabilmente, sì - tra un anno - gli inglesi, se l’Unione dovesse ricordarsi che le istituzioni sopravvivono solo se capaci di risolvere i problemi e di non trattare i cittadini come chi tutt’al più ratifica decisioni.
Dal Paese che ha inventato l’idea classica di democrazia e da quello che le ha dato sostanza in età moderna viene l’unica idea vera in circolazione: esistono i mercati ed è giusto che seguano la propria logica; ma esistono, anche, i cittadini ed è giusto che siano consultati prima di dare una risposta ai mercati ed essere chiamati a rispondere delle conseguenze. In questi giorni di crisi la cosa che più preoccupa è la lettura dei libri di Storia. Gli antefatti delle due Guerre che hanno segnato il secolo scorso insegnano che le grandi catastrofi nascono dal succedersi delle decisioni sempre parziali di burocrazie weberiane, incapaci di razionalizzare le discontinuità.
Se qualcuno vuole il ritorno al sonno della ragione deve augurarsi semplicemente che siano i tecnocrati a continuare a gestire crisi sempre più ravvicinate, con gli strumenti cognitivi immaginati per tempi di stabilità.
Se, invece, volessimo salvare l’Europa, e con essa la possibilità nostra di viaggiare da un Paese ad un altro per crescere, non ci sono scorciatoie: dobbiamo ricominciare da leader che siano capaci di far sentire ad un numero sufficientemente elevato di persone che l’Europa è un patrimonio di tutti e di sfidare sul terreno del consenso chi ci vuole chiudere a difesa di sicurezze che si stanno sgretolando.