Le contromisure/ In terra incognita e senza bussola

di Marco Fortis
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Lunedì 29 Giugno 2015, 22:36 - Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 00:09
Per descrivere lo scenario della crisi greca e della Ue, di cui ieri abbiamo avuto soltanto un primo possibile assaggio, con una caduta delle Borse e un balzo degli spread (contenuto dal Qe della Bce), gli uomini politici e i media stanno facendo un crescente ricorso a terminologie evocative quali: «stiamo entrando in terra incognita, in mari inesplorati», ecc.



Anche nel mio editoriale di una settimana fa ho utilizzato questa immagine. Con ciò si vuole significare che una volta staccato il respiratore alla Grecia, sempre assicurato durante questi mesi dalla liquidità della Bce, non si sa bene non solo che cosa potrà succedere ad Atene, che domenica affronterà il delicato referendum del “no” o “sì” alle proposte di Bruxelles, ma anche che cosa ne deriverà per tutta la costruzione europea e per il sistema stesso dell’euro. All’esito di quel referendum, se non vi saranno prima altri colpi di scena, è appeso il bluff di Tsipras e il futuro del suo Paese con contraccolpi per la stessa stabilità dell’eurozona. Quel che è certo è che, senza il respiratore della Bce e con davanti l’implacabile scadenza di domani del rimborso al Fmi, la Grecia, “la stiamo perdendo”, come direbbero i chirurghi delle numerose serie ospedaliere tv. Ma, al di là delle metafore, la vicenda greca è il puro risultato di una montagna di errori compiuti dall’Europa nei confronti di un Paese che non aveva le credenziali per entrare nell’euro.







Altro che “terra incognita”! Si poteva prevedere sin dall’inizio in che guai ci saremmo cacciati. E avremmo potuto capirlo con semplici strumenti di buon senso come pochi inoppugnabili dati statistici, paragonabili a una bussola o ai rudimentali ma efficaci sistemi di navigazione usati dagli antichi. Errori grossolani ne sono stati fatti sin da quando la Grecia è stata ammessa nell’euro nel 2001. L’entrata di Atene nella moneta unica, infatti, è avvenuta troppo precipitosamente ed esclusivamente sulla base di parametri finanziari (che poi si è scoperto, peraltro, non erano nemmeno sostenuti da dati veritieri, anzi falsificati).



Il tutto senza tenere conto in alcun modo della bussola dell’economia reale, il cui stato avrebbe dovuto indurre alla cautela. Sotto questo profilo la Grecia era ed è fragilissima. Ha turismo e porti, un po’ di agricoltura ma non possiede una industria all’altezza di un Paese avanzato. Lo squilibrio della bilancia commerciale con l’estero di Atene è enorme in rapporto al Pil ed esiste da tempo. Era già alto quando la Grecia entrò nell’euro, poi ha continuato a crescere vertiginosamente mentre Atene si indebitava sempre di più con l’estero, finanziata in modo estremamente avventuroso ed inizialmente redditizio dalle compiacenti banche europee (Olimpiadi comprese).



Fu un altro grosso errore, quello, da parte sia dei Greci, sia delle banche prestatrici, sia dell’Europa stessa, che non capì che far correre Atene in quel modo sugli spericolati binari del debito avrebbe inevitabilmente portato il Paese ellenico a deragliare. Eppure, c’erano, anche in Italia, molti che - evidentemente sprovvisti di bussola - indicavano nella Grecia un possibile modello perché il suo Pil cresceva più del nostro. Nel 2008 il deficit commerciale greco raggiunse la incredibile cifra di 43,5 miliardi di euro, pari a quasi il 18% del Pil e a poco meno di 4.000 euro per abitante. Dove era allora Bruxelles? Che bussola guardava? In seguito, lo squilibrio commerciale ellenico si è ridotto ma resta tuttora altissimo: nel 2014 è stato pari a 20,6 miliardi di euro, cioè ancora l’11,5% del Pil, mentre per un confronto il disavanzo del Portogallo è di 10,7 miliardi (6,2% del Pil), quello della Spagna di 25,3 miliardi (2,4% del Pil) ed invece l’Italia, che è tutt’altra cosa, ha avuto un surplus commerciale con l’estero di 42,9 miliardi (2,7% del Pil).



Con lo scoppio della crisi del debito sovrano greco del 2010-2011 (in quest’ultimo anno il debito pubblico di Atene toccò i 356 miliardi di euro, pari al 171,3% del Pil), entra in scena la Troika e vengono commessi di nuovo gravi errori. Parte del debito greco viene tagliato e si concedono ad Atene interessi comodi e a lunga scadenza, è vero. Ma così come prima era stata usata troppa manica larga con i greci, stavolta viene imposta una austerità troppo violenta che finisce per stremare una economia fragile come quella ellenica. Sarebbe stata sufficiente una semplice bussola per capire che se si fosse applicata ad una nazione fondata sul settore pubblico (e senza una forte economia reale) una cura troppo dimagrante del settore pubblico stesso, per di più concentrata in un tempo troppo breve, si sarebbe ucciso il paziente anziché guarirlo.



Sicché, il Pil greco è ulteriormente crollato e il rapporto debito/Pil, nonostante il taglio parziale del debito, è subito tornato a salire e a fine 2014 è arrivato al 177,1%: un livello più alto di quello del 2011. Un totale fallimento dell’operazione di “salvataggio”, dunque, aggravato da una sequenza di governi greci nessuno dei quali si è dimostrato all’altezza della crisi né per visione e stabilità politica né per autorevolezza tecnica. Una situazione diversa da quella di altri Paesi dove la credibilità dei governi e la qualità delle istituzioni è stata invece determinante per superare le difficoltà. Il nuovo leader greco e il suo ministro delle finanze Varoufakis hanno infine iniziato a giocare con Bruxelles e i creditori come il gatto col topo non rendendosi conto in realtà che i topi erano loro e ormai senza più formaggio: entrambi seduti sulla bomba ad orologeria della Grexit e delle promesse populiste che hanno loro fatto vincere le elezioni ma a prezzo dello sbando finale del Paese.



L’economia ellenica, che si stava lentamente riprendendo nel 2014, è ripiombata nel buio più profondo e i capitali hanno ripreso a fuggire. Sino alla corsa disperata ai bancomat dello scorso week end e alla chiusura delle banche. A questo punto bisognerà sperare che la cancelliera Merkel faccia realmente tutto il possibile fino all’ultimo per mediare tra le parti. Ma il Fmi è diventato via via più intransigente con Atene, la Commissione Ue non è parsa spesso all’altezza del compito, mentre il solo Draghi (sempre più osteggiato per questo all’interno della Bce) ha continuato a passare un po’ di liquidità alla Grecia come fa la mamma che porta di nascosto un po’ da mangiare al figlio mandato a letto senza cena dal papà. In più ci si sono messi i Paesi del Nord Europa con la loro crescente insofferenza, a cui si è aggiunto il malcontento sdegnato verso Atene dei Paesi “periferici” e della Spagna, che hanno fatto sacrifici per riequilibrare i loro conti. Beninteso, nessuno nega che anche la Grecia abbia fatto duri sacrifici.



Ma un Paese che ha squilibri tanto accentuati non può esimersi dal correggerli, specie se nel contempo è aiutato dai creditori che hanno rinunciato a parte dei loro diritti ed allungato le scadenze.
Alcune riforme come quella delle pensioni per Atene sono essenziali così come una lotta più severa a corruzione ed evasione fiscale. Forse il Brussel Group avrebbe potuto concedere a Tsipras (e può ancora farlo) un punto in meno di avanzo primario a regime, viste le difficoltà che anche i Paesi forti incontrano di questi tempi a generare significativi surplus statali, ma ulteriori tagli di spesa sono inevitabili se la Grecia vuole davvero evitare il fallimento. Insomma, tra la debolezza delle istituzioni greche, il disordinato poker del populista Tsipras, la scala reale di errori inanellati dall’Europa (che ha perso la grande visione di un Jacques Delors) e gli irrigidimenti del Fmi, non si sa proprio più per chi “tifare”. Forse per una linea diversa, fondata sulla bussola del buon senso (italiana? americana?), che dovrebbe avere più ascolto a Bruxelles (se c’è ancora margine di tempo). Né è auspicabile che sugli esiti del referendum interferisca ora maldestramente e a gamba tesa la Commissione del “tradito” Juncker.A questo punto, lasciamo al popolo greco decidere se preferisce l’euro oppure entrare in terra incognita senza bussola.